Eucaristia

Essere dono. Dare vita per amore
Settimana della Bellezza 2020 – Museo Diocesano d’Arte Sacra di Grosseto

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Gv 6, 57-58

57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.

Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”.

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La centralità dell’Eucaristia va concepita come qualcosa di assolutamente originale, in dipendenza dall’originalità dei rapporti di Gesù con il Padre. L’Eucaristia è un centro dinamico: ci accoglie dalle diverse regioni della nostra lontananza spirituale, ci unisce a Gesù e ai fratelli e ci sospinge con Gesù e con i nostri fratelli verso il Padre. È come un sole che attira a sé la terra degli uomini e con essa cammina verso un termine misterioso, eppure certissimo.

Non è facile mettere l’Eucaristia al centro! Non è facile accogliere il messaggio del sacramento dell’Eucaristia nella sua forza. I testi del Nuovo Testamento alludono spesso all’incomprensione che essa incontra in coloro cui essa è destinata. Il primo documento neotestamentario sull’Eucaristia denuncia la maniera scorretta con cui essa veniva celebrata dai cristiani di Corinto. Luca racconta come durante l’Ultima Cena i discepoli discutessero chi fosse tra loro il più grande. Nel capitolo 6 di Giovanni si incontra l’incomprensione da parte degli ascoltatori di Gesù: “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”.

Nell’Eucaristia l’amore di Dio si manifesta nelle sue forme più pure e sconvolgenti ed incontra un uomo che è spaesato dinanzi a cose immensamente più grandi di lui.

L’Eucaristia è la meta di un lungo cammino.

Confessare umilmente le nostre lacune o anche semplicemente le nostre incertezze e difficoltà, è il primo passo da compiere per riscoprire l’inesauribile ricchezza di questo mistero.

Card. Carlo Maria Martini, Attirerò tutti a me, n. 20.

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L’opera. La tela grossetana, da un decennio restituita all’autografia di Francesco Nasini, rappresenta Cristo che istituisce l’Eucaristia. Gesù campeggia nella tela, quasi sfiorando la cornice, rappresentato completamente solo, stagliato contro un fondale scuro, ad esaltare il valore teologico di questo istante.

La sua espressione però non è ieratica, bensì molto umana, con quel sorriso accattivante rivolto a chi lo guarda. Si presenta con la testa inclinata e leggermente ruotata sulla spalla destra, mentre la mano alzata benedice i simboli del pane e del vino, come se si stesse compiendo in quell’istante la liturgia della consacrazione eucaristica.

Tutti gli oggetti rimandano ad un vero rito della benedizione del pane e del vino come testimonia la pisside a scatola contenente l’ostia, il calice barocco d’argento dorato, nonché il tavolo coperto da una candida tovaglia di lino, chiaro riferimento ad una mensa eucaristica. Cristo dunque è sacerdote della Chiesa ma, al contempo, dona se stesso a tutta la comunità di fedeli e agli uomini. La sua figura acquisisce volume grazie al rosso vivo della veste e alla luce dorata dell’aureola che lo illuminano di sacralità, ritagliandolo contro il fondo bruno.

Il linguaggio di Francesco Nasini è stato ridefinito solo da alcuni decenni, dopo accurati studi di alcuni storici dell’arte che hanno ricostruito le fasi e i modi stilistici del pittore amiatino. La tela del Museo Diocesano ne è una interessante conferma. Soprattutto Claudio Strinati e Marco Ciampolini hanno individuato in lui un interprete delle più svariate tradizioni figurative, capace di muoversi con leggerezza tra citazioni dotte di epoche passate o imitazioni spontanee e originali di opere contemporanee, passando, con estrema disinvoltura, da una citazione di Vasari ad una di Jaean Callot e riproponendo, a suo piacimento, stili e modi diversissimi. Sicuramente un dato accomuna la tela grossetana con il resto della produzione di Francesco Nasini: un gusto spiritoso, quasi caricaturale, illustrativo e didascalico che rende facile e scorrevole il suo linguaggio. Il Cristo grossetano, dai lineamenti minuti e calligrafici, è come dipinto in punta di pennello e il suo sorriso pare esaltare la sua umanità ed avvicinarlo ai fedeli che, grazie al suo sacrificio, si possono accostare senza timore al pane eucaristico.

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