Sabato 20 settembre, la Cattedrale di San Lorenzo si è fatta grembo e casa per accogliere il “sì” definitivo di don Ciro Buonocunto, ordinato presbitero per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria di S.E. mons. Giovanni Bernardino Giordano. Un momento carico di emozione e bellezza, che ha reso visibile l’opera silenziosa ma potente dello Spirito Santo nella vita di un giovane e nella vita di una Chiesa.
Nato a Napoli il 15 ottobre 1998, Ciro è maremmano d’adozione: è infatti giunto a Grosseto con la famiglia quando aveva appena un anno. Qui ha compiuto tutto il suo cammino di crescita umana e cristiana, frequentando le scuole, stringendo legami, facendo esperienza viva di parrocchia e di fraternità. Dopo la maturità ha chiesto di entrare nel Seminario vescovile “G.D. Mensini” per un cammino di discernimento che lo ha condotto, passo dopo passo, fino all’altare, nel dono totale della propria vita a Dio e alla Chiesa.
Nel percorso di formazione, don Ciro ha completato gli studi teologici presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e ha svolto il suo anno pastorale come diacono presso la parrocchia di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, a Grosseto. Il suo è il quinto presbiterato che si celebra in diocesi dal 2020 ad oggi, segno concreto di una terra che continua a generare vocazioni: prima di lui, don Andrea Pieri (2020), don Claudio Bianchi e don Simone Castellucci (2023), don Alessandro Ortalli (2024). Attualmente i seminaristi in formazione sono tre: segno di speranza e promessa di continuità.
L’omelia del vescovo Bernardino: “Rimetti i debiti, usa misericordia”
Nel cuore della celebrazione, l’omelia del vescovo Bernardino ha rappresentato un momento di profondo ascolto e provocazione evangelica. Commentando il Vangelo del giorno — la parabola dell’amministratore disonesto (Lc 16,1-13) — il vescovo ha sottolineato come la vita cristiana sia amministrazione responsabile dei doni ricevuti, chiamata a rimettere i debiti, a usare misericordia, a creare comunione.
«Ma quanta grazia e quanto dono il Signore sta facendo per tutti noi oggi», ha esordito il vescovo. «Quell’“Eccomi” di don Ciro non è solo suo, ma è un “Eccomi” per tutti noi. Perché se siamo qui, è anche perché abbiamo sentito, ciascuno, questo “Eccomi” che interroga e chiama».
Con passione e profondità, mons. Bernardino ha ricordato che tutti i beni ricevuti — qualità, talenti, occasioni — sono doni di Dio, dei quali ciascuno è custode. «Noi non ringraziamo mai abbastanza per i doni che abbiamo. E invece questa Eucaristia è l’occasione per farlo, per riprendere coscienza che tutto ci è stato affidato per il bene degli altri».
Come l’amministratore della parabola, che alla fine capisce che l’unico modo giusto per amministrare i beni del padrone è usare misericordia, così anche ogni presbitero, ogni cristiano, è chiamato a “rimettere i debiti”, cioè a usare i doni ricevuti per costruire ponti, rialzare chi è caduto, curare le ferite. «È proprio così che si amministra ciò che è di Dio: perdonando, accogliendo, amando. Vale più l’amore che il possesso».
E rivolgendosi direttamente a don Ciro, ha aggiunto: «Che dono oggi il Signore ti fa: rimetti i debiti. Usa misericordia. Cura le persone che ti saranno affidate. Accostati alle loro fragilità con la consapevolezza delle tue. Prima di giudicare i limiti degli altri, offri i tuoi al Signore».
Il vescovo ha poi sottolineato che il ministero del presbitero è chiamato ad essere “cura” nella debolezza altrui: «La tua vita diventi occasione di comunione, di unità, perché il presbitero non è mai da solo. Siamo Chiesa: un corpo solo, il Corpo di Cristo. E questo corpo vive se c’è comunione».
Infine, l’appello ai giovani presenti numerosi in Cattedrale: «Ragazzi, il Signore sta chiamando. Non so a cosa: forse al matrimonio, forse alla vita consacrata, forse al sacerdozio. Ma chiamare, chiama. Non state soli in questa chiamata. Osate. Abbiate il coraggio di rispondere».
Un prete tra la gente, con la gente
Don Ciro, con la sua storia semplice e ricca, incarna un volto fresco e quotidiano del ministero presbiterale. Non ha mai nascosto la sua passione per il calcio, in particolare per la Juventus — una nota di colore che ha sempre suscitato il sorriso tra amici e parrocchiani, specialmente perché Ciro è napoletano di nascita! Ma per lui il calcio è molto più di una fede sportiva: è linguaggio, è occasione di incontro, è luogo di relazioni. In fondo, è uno dei modi con cui ha imparato a “stare con”, a mettersi in gioco, a camminare insieme agli altri.
È questo stile di prossimità e fraternità che don Ciro desidera portare nel suo ministero: essere un prete “tra la gente”, con la gente, capace di ascoltare, accompagnare, condividere. Un presbitero giovane, in cammino, che ha fatto della propria vita un dono al Signore per amore del suo popolo.
Un dono per la diocesi
L’ordinazione di don Ciro è stata accolta dalla comunità diocesana come un dono grande. Non solo perché ogni vocazione è segno della fedeltà di Dio, ma perché essa ci ricorda che la Chiesa è viva, è generativa, è madre. In un tempo segnato da fragilità, incertezze e cambiamenti, la risposta di un giovane che si affida al Signore con fiducia e coraggio è motivo di speranza per tutti.
«Oggi – ha concluso il vescovo – la nostra Chiesa gioisce perché un figlio ha detto “Eccomi”. Sosteniamolo con la preghiera, camminiamo con lui, chiediamo che il Signore continui a chiamare, a sorprendere, a seminare vocazioni nella nostra terra».
Don Ciro inizierà ora il suo ministero con l’entusiasmo dei primi passi e con la responsabilità del dono ricevuto. A lui l’abbraccio affettuoso della diocesi, la gratitudine della Chiesa e la promessa della preghiera.


























