Una domenica laetare particolarmente impegnativa; una domenica della gioia, perché la Chiesa «spezza» il cammino della quaresima per dirci: devi fare festa! Perché se non fai festa non sai neanche riconoscere il cammino che stai facendo. L’essere nella gioia è per ricordarci il motivo della nostra penitenza, come sta andando la quaresima. Perché la preghiera, il digiuno, l’elemosina non sono fini a se stesse, ma sono
per un incontro, per una festa, per un legame, per accogliere la presenza di Gesù risorto nella nostra vita!
È la stessa festa, è lo stesso cibo di cui si parla nella prima lettura per quanto riguarda il popolo di Israele che, arrivato nella terra promessa, cambia cibo, fa festa, perché non c’è più la manna, ci sono i prodotti della terra promessa.
Allora anche la parabola dei due fratelli e del padre misericordioso è un’occasione di festa. È un’occasione per fare un passaggio nella vita
nuova, così come vogliamo fare nell’esperienza della quaresima accogliendo la presenza di Gesù risorto.
Ed è particolare questo passaggio, perché ognuno lo può vivere – diciamo così – alla sua maniera, ma vivendolo ciascuno alla propria maniera il risultato non cambia: tu, io siamo chiamati a far festa con Dio, col Signore! Il fratello minore, nella parabola, sostanzialmente capisce cosa vuol dire fare festa attraverso il fallimento che ha vissuto. Fare festa significa avere dei legami: e quanto e come sono importanti i legami! La mia non è retorica: la nostra vita ce la costruiamo coi legami, non con le solitudini! Anzi, le solitudini vanno ad amplificare tantissime cose, a compensare tantissime cose.
Il fratello minore chiede di avere tutto e vive da dissoluto, cioè sciolto da ogni legame. L’esperienza di vivere sciolti da ogni legame guarda dove ti porta! E vedi come nella domenica della festa tu sei chiamato alla sostanza dei legami per poter riprendere e ricominciare insieme.
Il fratello minore è partito da un fallimento: ma quell’esperienza non si traduce, forse, nelle nostre esperienze come sacerdoti, in casa, nelle realtà in cui viviamo, nelle professioni che facciamo?
C’è modo e modo di viverle: possiamo farlo da dissoluti oppure possiamo fare il passo possibile per cambiare. E dove arriva il cambiamento?
Quando tocchi il fondo! E, caso strano, quel rientrare in se stessi, alla fine ci fa dire come la vita interiore si sveglia per poter dire: io non sono fatto per vivere così! Questa domenica è tutta un richiamo alla nostra vita interiore: che decisioni andiamo a prendere nella nostra vita interiore per ricostruire legami? Fra l’altro quel giovane figlio viveva da solo e nessuno gli dava da mangiare: per dire la solitudine più totale!
Speriamo che il Signore tocchi le coscienze di ognuno di noi su come siamo chiamati a ricostruire i nostri legami, partendo da quello che c’è e
che ci ritroviamo. Ma li ricostruiamo partendo da dentro, dalla nostra interiorità, da come mettiamo sostanza nelle cose! E difatti quella
sostanza il Padre non l’ha persa, tanto che la cura, l’attenzione, il desiderio di far festa ci sono, anzi sono alimentati dal fatto che Egli
non sopporta la distanza e quando non si sopporta la distanza si vuole che l’altro sia sempre con noi! Non è questa l’esperienza del perdono?
Vale più il legame con te che il torto subìto: non è un’esperienza di perdono?
Il padre desidera prenderci per quello che siamo, ognuno con la sua vita. Fossimo anche nel peccato più grave, fossimo anche nel profondo, sappiamo che c’è un Dio che ci aspetta! Sappiamo che quel profondo non è l’ultima parola. È la festa! E noi dobbiamo festeggiare quando i legami si riprendono!
Ognuno coi passi possibili, è vero, ma è tornare alla base, è tornare – ognuno con la propria vocazione – a riconoscere che vale la pena
compiere questi passi. Il nostro credere è una relazione, non è solo un’obbedienza, ma se non tengo vivo questo legame in che modo
posso portare avanti le cose?
L’esperienza di casa ci aiuta a comprendere, ma anche i nostri presbitèri: in questo il Signore ci chiede di fare il passo possibile. È così che certi blocchi d’inciampo possono diventare blocchi di partenza. Certe cose che non sono andate bene, per molti sono diventati rinascita, un volto nuovo, la consapevolezza di dover cambiare e dover svegliarci su altre cose.
Guardate questa domenica a cosa ci invita!
Tutto ciò significa avere una Presenza viva nella nostra vita. Se non hai Qualcuno vivo dentro di te, tante cose non le fai… se non c’è
Qualcuno che ti dice e ti rende vivo, non ti deciderai. Allora è fondamentale riconoscere che la presenza di Gesù è viva nella nostra vita e che ognuno di noi è segno – sacerdoti, vescovi -della presenza di un Dio che vuole accogliere, di un Dio che vuole starti accanto. Segno!
Così come lo sono le famiglie nella qualità della loro relazione: sono segno dell’amore di Dio!
Abbiamo bisogno di tutti e due e abbiamo bisogno di fare una bella professione di fede nel riconoscere che è la Chiesa il corpo di Cristo per il quale vale dare la vita. Allora la nostra identità non è solo segnata dal fare, ma diventa un rapporto con qualcuno. Oggi vuol esserlo con il Signore. Gesù vuole un corpo umano per esprimere la sua passione d’amore per l’umanità. In questo guardo voi famiglie, perché dite a me vescovo, a noi sacerdoti come realizzare questa passione d’amore nella reciprocità, la capacità di unificare, di costruire ponti.
Quanto ho imparato e quanto dobbiamo ancora imparare!
Non c’è relazione d’amore se non c’è lo spirito del Signore nella nostra vita; senza, l’altro è terra di conquista e le nostre dinamiche diventano tiro alla fune. E ognuno di noi nei suoi legami sa che senza amore non si fa nulla. Allora occorre guardare alla Presenza!
Tutti siamo chiamati a generare vita! Vita nelle nostre parrocchie, vita nella nostra Diocesi, vita nei legami.
Siamo chiamati a credere che la nostra vita fa bene a qualcun altro, dà vita. Ma generare senza amare è far morire. La presenza di Gesù oggi
vuole entrare in questo orizzonte. Chiediamo al Signore la sua presenza, diciamo tante cose, oggi, ma riconosciamo prima di tutto la
sua presenza. Che questo momento di silenzio diventi, allora, un’occasione per decidere, in settimana, cosa fare e come fare per far sì che il passo possibile nella mia capacità di amare possa essere messo in atto. Ognuno nelle vocazioni, nelle situazioni, nelle professioni, là
dove vive.
+Bernardino
(da registrazione)