Catechesi quaresimali del Vescovo: i video e un testo di sintesi

Nella Quaresima 2022 il vescovo Giovanni offre tre catechesi da altrettanti luoghi di spiritualità delle diocesi di Grosseto e di Pitigliano-Sovana-Orbetello, per approfondire il Triduo Pasquale

PRIMA CATECHESI-venerdi 25 marzo, dal Monastero di Siloe (Poggi del Sasso)

l Vangelo non va solo creduto, ma anche celebrato. Su questa affermazione si snoda il percorso delle tre catechesi quaresimali del vescovo Giovanni, trasmesse on line nei tre venerdì che precedono la domenica delle Palme. Sono state registrate in luoghi di spiritualità presenti nelle diocesi di Grosseto e di Pitigliano-Sovana-Orbetello e sono incentrate sulla liturgia del triduo pasquale. La prima catechesi, trasmessa on line il 25 marzo dal monastero di Siloe, a Poggi del Sasso, ha messo a fuoco il senso profondo della liturgia nella vita e nell’azione della Chiesa. Il Vescovo è partito da un’affermazione del teologo Goffredo Boselli, il quale scrive: “A causa delle sue radici biblicihe e fin dalle sue origini pasquali, la fede cristiana non è stata solo professata, testimoniata e vissuta ma anche celebrata.Non ci può essere fede confessata che non sia al tempo stesso celebrata dalla comunità cristiaa attravberso parole, gesti, linguaggi, tempi e spazi generati dall’incontro tra la Parola di Dio e la fede della Chiesa”.

“Ci prepariamo – ha commentato il Vescovo – a celebrare una Pasqua tribolata; è la terza che viviamo così: prima per la pandemia e poi per una guerra che nessuno si sarebbe immaginata…. Preghiamo, allora, per i morti, perché siano consegnati a Dio, ma il dolore quanto durerà? La reazione potrebbe essere quella di rinchiuderci nelle nostre chiese, celebrare dei riti e lasciare che il mondo vada per la sua strada…No, non è così e la risposta di questi giorni ai bisogni dei fratelli ucraiani ci dice che non può essere così, perché il mondo ci sta a cuore. Possiamo allora celebrare la Pasqua del Signore perché questo “starci a cuore” diventi sempre più vero, diventi sempre più importante e più vissuto nella nostra vita”.

Richiamando poi le parole di Boselli, il vescovo Giovanni ha sottolineato come la liturgia “non è semplicemente l’insieme di riti e cerimonie, spesso viste in opposizione o non essenziali alla vita cristiana. Si dice: l’importante è essere buoni…Vero, ma non è lo specifico della vita cristiana. Possono farlo e lo fanno anche i non cristiani. Il cristianesimo è una realtà che ingloba questo, ma va oltre e seppure la liturgia non esaurisce la vita cristiana, la rende però più vera perché la tiene unita a Gesù Cristo. E proprio la persona di Gesù – ha proseguito il Vescovo – ci mette davanti il senso profondo di ciò che noi celebriamo nella liturgia: fate questo in memoria di me. Questo comando si riferisce sicuramente all’ultima cena, lo risentiremo nel Giovedi Santo, ma vale anche per tutto il resto della vita di Cristo, venuto non per fare la Sua volontà, ma quella del Padre”. Insomma, il comando fate questo in memoria di me “non si riferisce a un episodio o a un rito, ma a tutta la vita di Gesù. Noi facciamo memoria, ovvero entriamo dentro il mistero di Cristo, attraverso la liturgia. Certo, non solo attraverso di essa, ma prima di tutto per mezzo di essa!”

Il Vescovo evidenzia poi come la nostra vita liturgica emerge dalle pagine del nuovo testamento. “Per esempio – ricorda – il mandato di pregare (quando pregate dite Padre Nostro); il mandato di predicare il Vangelo; il mandato di battezzare; il mandato di celebrare l’Eucaristia; il mandato della lavanda dei piedi, che esprime una scelta e una realtà della vita cristiana; il mandato di perdonare i peccati; il mandato di scacciare i demoni; il mandato di ungere i malati. In altre parole, una ritualità in senso profondo, che ha alle spalle il fate questo in memoria di me. E’ così ogni volta che celebriamo la Messa, ogni volta che celebriamo un sacramento e ogni volta che preghiamo”. Padre Giovanni, cita quindi la Didachè, un’operetta scritta alla fine del I secolo dopo Cristo, per mettere in rilievo come fin dalle sue origini, il cristianesimo “si era già organizzato per rispondere al comando: fate questo in memoria di me”. Infatti quest’opera “è già un piccolo rituale dove si spiega come si fa il battesimo, come si celebra l’eucaristia ecc… “. Ma c’è anche un altro documento, non cristiano, che testimonia questo: la Lettera del governatore della Bitinia, Plinio il giovane, all’imperatore Traiano. “Centro della lettera – spiega il Vescovo – è il processo contro i cristiani. E Plinio racconta all’imperatore ciò che lui sa dei cristiani. E scrive: affermavano che tutta la loro colpa era quella di essere soliti, in un dato giorno, riunirsi prima del giorno e cantare un inno a Cristo come fosse un dio; di obbligarsi con un giuramento, non già per fini delittuosi, ma impegnandosi a non commettere furti, ladrocini, adulteri, a non mancare della fede (…) Dopo ciò erano soliti allontanarsi e di nuovo riunirsi per prendere cibo di genere comune e innocente”. 

Due esempi per dire che “celebrare il Vangelo non è fare cerimonie, ma è insito nella natura stessa del cristianesimoFate questo in memoria di me è il comando di tutti i credenti in Gesù e si riferisce alla sua persona e attraverso di essa alla nostra possibilità di arrivare a Dio Padre. Per questo diciamo che Cristo è il pontefice tra noi e Dio e noi, obbedendo al suo comando, celebriamo e fortifichiamo la nostra fede, rendendola più bella ed entusiasmante da vivere”.

Il Vescovo conclude la prima catechesi ricordando come il triduo pasquale “celebra, in maniera unica in tutto l’anno liturgico, quel fate questo in memoria di me, in una liturgia che inizia la sera del giovedi santo e termina con la veglia pasquale. La liturgia non considera i tre giorni cronologici, bensì tre avvenimenti, dislocati – certo – in tre celebrazioni diverse, ma che formano un’unica, grande liturgia. La liturgia ci insegna allora che l’Eucaristia, la passione e la resurrezione del Signore non possono essere separati: sono l’unica celebrazione della persona di Gesù, come diciamo ad ogni Messa: annunciamo la tua morte signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta”.

SECONDA CATECHESI-venerdi 1 aprile, dal Monastero carmelitano Janua Coeli (Cerreto di Sorano)

“Gesù com’è diventato la nostra speranza? Ecco lo avete udito: perché è stato tentato, ha patito, è risorto. Per questo è diventato la nostra speranza. (…) In lui tu puoi vedere la tua fatica e la tua ricompensa: la tua fatica nella passione, la tua ricompensa nella resurrezione. Con le sue fatiche, le tentazioni, i patimenti, Cristo ti ha fatto vedere la vita in cui sei, con la resurrezione ti ha fatto vedere la vita in cui sarai. Noi sapevano solo che l’uomo nasce e muore, ma non sapevamo che risorge e vive in eterno. Egli ha preso ciò che conoscevi e ti ha fatto vedere ciò che non conoscevi. Per questo è diventato la nostra speranza nelle tribolazioni e nelle tentazioni. Egli stesso è diventato nostra speranza e ora siamo in cammino verso la Speranza”.

1 aprile 2022-seconda catechesi quaresimale

Con queste parole, tratte da una meditazione di sant’Agostino, il vescovo Giovanni ha sviluppato la seconda delle tre catechesi quaresimali, registrate in altrettanti luoghi di spiritualità delle diocesi di Grosseto e Pitigliano, in preparazione al triduo pasquale. Lo sfondo è quello indicato nella prima catechesi: il Vangelo non va solo creduto, ma anche celebrato. E in quest’ottica, dal monastero delle carmelitane del Cerreto (Sorano), il Vescovo si è soffermato su due espressioni che si riferiscono alla liturgia del Giovedì e Venerdì Santo. “Una parola – ha detto il vescovo – la prendiamo dal Vangelo di Giovanni: “Volgeranno lo sguardo su Colui che hanno trafitto”, che la Chiesa – ha sottolineato – traduce nel gesto dell’adorazione della croce, accompagnato da una famosa antifona che dà un significato molto speciale alla croce di Gesù. Dice: adoriamo la tua croce Signore, proclamiamo la tua resurrezione. Infatti attraverso la croce la gioia è entrata nel mondo intero. È un’antifona particolare – ha rilevato il presule – Ci si può chiedere: la gioia e la croce? Sì”, ha risposto. E si è chiesto provocatoriamente: “Forse che come cristiani siamo dei masochisti? Siamo persone che santificano la croce, cioè una vita di mortificazione, che rinuncia ad altri aspetti positivi? No. Se il cristianesimo proponesse il dolore come scopo della vita – ha commentato – che senso avrebbe la cura che essa ha sempre prestato ai malati? E noi abbiamo tutta una storia, che parte dall’inizio di cristianesimo, di curare gli infermi. È un mandato di Gesù e farlo è celebrare il mistero di Cristo. Se il dolore fosse lo scopo della vita – ha chiesto ancora – perché darsi da fare per la pace? La croce allora è un’altra realtà, ci introduce in un’altra dimensione molto importante anche se delicata e non immediatamente comprensibile: la dimensione del dono. Di fronte alla passione di Gesù – ha osservato il Vescovo – possiamo avere diversi atteggiamenti: ad esempio considerare la croce come un incidente di percorso. Gesù è incappato nelle mani di Caifa e Ponzio Pilato ed è morto in quel modo orribile, ma non previsto”. Una visione che il Vescovo ha definito “troppo semplicista”, perché se “è vero che ci sono degli attori umani”, è altresì vero che “non si può paragonare la morte in croce di Gesù a qualsiasi altro ucciso della storia per volontà umana”. E ha aggiunto: “I primi cristiani – basta leggere la Lettera agli Ebrei e la letteratura neotestamentaria – non la leggono così. Anche perché se così fosse diventerebbe un episodio storico che non ci riguarda”. Un’altra visione della croce che il Vescovo ha rammentato è quella di chi la intende come sacrificio di espiazione per i nostri peccati. “Senz’altro questo aspetto c’è – ha osservato – ma la parola espiazione è un termine oggi poco comprensibile”. La passione e morte del Signore, allora, ha “il valore di obbedienza: imparò l’obbedienza dalle cose che patì”. Il Vescovo ha invitato a non insistere su una visione sacrificale della croce, perché “non è quella la cosa fondamentale”. La croce, infatti, “è dono, è condivisione della vita dell’uomo!”, ha detto padre Giovanni. Ed è “ciò su cui la liturgia del triduo pasquale ci fa riflettere. Adorando la croce – ha proseguito – noi la prendiamo come strumento di salvezza, perché Cristo ha condiviso la nostra vita compresi quegli aspetti di morte che ci sono”. In questo senso le parole di sant’Agostino possono essere illuminanti, perché legano la croce alla speranza.

“La Chiesa – ha annotato il Vescovo – celebra questa speranza allargando il cuore – la preghiera grande del venerdì santo ritmata su una richiesta, su un tempo di silenzio, è la risposta della Chiesa – a tutti coloro che sono tribolati; a tutti coloro che credono in Gesù Cristo; a tutti coloro che non credono; a tutti coloro che fanno parte della Chiesa; a tutti coloro che nella Chiesa esercitano un ministero.. insomma, a tutta l’umanità, perché ognuno si senta accolto come Cristo ha accolto, nella croce, l’umanità come tale”. E per rafforzare il concetto, il Vescovo cita la Gaudium et Spes, che al numero 22 dice che “poiché Cristo è morto per tutti, bisogna credere che, per strade che solo Lui conosce, ogni uomo sarà toccato, entrerà in contatto, sarà coinvolto dal mistero pasquale di Gesù”. Infatti – ha proseguito – “Egli non è il redentore di pochi, ma di tutti, proprio perché ha insegnato una strada. E’ tanto importante quella strada che è unica: quel sacrificio non si ripete. “Una volta per tutte”, dice la lettera agli ebrei. Quando, allora, celebriamo l’Eucaristia – ha concluso – non rinnoviamo la passione come fosse una specie di mito; ma ricelebriamo quella passione, che valica tempo e spazio e che anticipa – cibo celeste – la vita del Paradiso. Giovedi e Venerdì santo celebrano tutto questo attraverso dei gesti e soprattutto attraverso la proclamazione della Parola e la preghiera. In particolare nel giovedi santo – ha puntualizzato – celebriamo l’ultima cena e ci tratteniamo in adorazione di quel mistero: adorazione non al sepolcro come si diceva un tempo, ma al Santissimo Sacramento, col desiderio di capire meglio questo mistero grande. E’ così che il Vangelo creduto viene anche celebrato e partecipato dai presenti certamente, ma siccome è la Chiesa che celebra, le mura fisiche si aprono in una celebrazione che coinvolge tutta l’umanità”.

TERZA CATECHESI-venerdì 8 aprile dal convento della Presentazione di Monte Argentario

Nel luogo che è culla della congregazione dei Padri Passionisti, che ha al cuore la contemplazione della croce e la predicazione, il vescovo Giovanni ha tenuto la sua terza ed ultima catechesi quaresimale in preparazione al triduo pasquale. Ultima catechesi nella quale il Vescovo ha focalizzato l’attenzione sulla veglia pasquale, proponendo come parole chiave quelle che vengono pronunciate dal celebrante durante la liturgia del cero pasquale: “Egli è l’Alfa e l’Omega, il princio e la fine” e la proclamazione della resurrezione di Gesù come un avvenimento preparato dalla storia della salvezza. “La veglia pasquale – ha osservato – vuol farci rivivere tutto questo”. Per penetrare ancora meglio le verità proposte nella liturgia pasquale, il Vescovo ha ripreso la Lettera agli Efesini, “dove Paolo parla di una elezione da parte di Dio, in Cristo, addirittura prima della creazione del mondo – ha spiegato – ‘In Cristo – dice Paolo – siamo stati fatti eredi, predestinati secondo il mistero della Sua volontà’, ovvero prima del peccato di Adamo. Questo progetto – ha precisato il Vescovo – non viene meno, nonostante il peccato di Adamo; Dio lo porta avanti nella Sua storia”. Un altro sguardo, il Vescovo lo ha preso dalla Lettera ai Colossesi: Gesù è l’immagine di tutta la creazione, perchè in Lui furono create tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui, per dire che “questa è l’espressione della fede cristiana”. La notte di Pasqua, allora, “noi, dopo la benedizione del cero e quelle parole Egli è l’Alfa e l’Omega, ripercorriamo, attraverso sette letture, il cammino della salvezza, che parte dalla creazione dell’universo, dall’alleanza con il padre Abramo, che farà moltitudine di tutte le genti; alla liberazione dall’Egitto; a Dio che mantiene la promessa nei profeti; alla ricostruzione, dopo l’esilio, del nuovo tempio e quindi di un’alleanza che continua. Questa alleanza – ha proseguito – ha il suo vertice, per noi cristiani, nella persona di Gesù, il sangue versato della nuova ed eterna alleanza”. Il Vescovo ha sottolineato l’atteggiamento di lode (i sette salmi) con cui nella veglia pasquale si ripercorre la storia della nostra salvezza “che è un cammino fatto dai nostri padri, ma fatto anche da ciascuno di noi. La creazione del mondo, infatti, rimanda alla creazione di ciascuno di noi, cioè alla nascita nel tempo; così come ciascunao di noi è parte dell’alleanza fatta con Abramo; ciascuno di noi ha conosciuto il peccato e la liberazione; ciascuno di noi può sperimentare che Dio, attraverso i profeti, è fedele alla sua promessa. E ciascuno di noi nel battesimo è immerso nella passione, morte e resurrezione di Gesù. Fare Pasqua vuol dire questo!”.

Nella parte finale della sua catechesi il vescovo Giovanni si sofferma sull’evento caratteristico della veglia pasquale: la benedizione del fonte battesimale. E consiglia di prendere parte alla veglia avendo letto in precedenza la liturgia del fonte “per arrivarci preparati, per aver meditato quelle parole già per conto proprio”. E ha spiegato come “in tutte le grandi preghiere della Chiesa ci sono questi tre momenti: l’anamnesis, cioè il ricordo della gesta di Dio; poi l’invocazione, perchè quelle gesta continuano ora per me; infine le conseguenze felici di quelle invocazioni e del dono dello Spirito. Tutte le preghiere sacramentali hanno questa funzione”. Nello specifico, il Vescovo si è soffermata su quella del Fonte, una delle più solenni e delle più antiche. Fin dalle origini il tuo Spirito si librava sulle acque perché contenessero in germe la forza di santificare; e anche nel diluvio hai prefigurato il Battesimo, perché, oggi come allora, l’acqua segnasse la fine del peccato e l’inizio della vita nuova. “Quelle letture ascoltate – ha sottolineato – diventano preghiera fino all’invocazione: Ora, Padre, guarda con amore la tua Chiesa e fa’ scaturire per lei la sorgente del Battesimo. Infondi in quest’acqua, per opera dello Spirito Santo, la grazia del tuo unico Figlio la grazia sacramentale del Battesimo.E’ – ha rimarcato il Vescovo – la felice conseguenza: perché con il sacramento del Battesimo l’uomo, fatto a tua immagine, sia lavato dalla macchia del peccato, e dall’acqua e dallo Spirito Santo rinasca come nuova creatura. Quando, allora, si prega da soli o comunitariamente è giusto osservare quest’ordine: prima di tutto mettersi in relazione con Dio che mi ha creato e che ha compiuto una storia della quale anch’io sono parte e per questo ho il ‘diritto’ di essere ascoltato, perchè Dio è fedele a se stesso. Il diritto – ha poi precisato – non è presunzione, ma la consapevolezza di presentarsi a Dio come figlio che può parlare. Solo così – ha commentato – si entra nell’anima segreta, quella più bella e vera della liturgia” e ha richiamato, a mo’ di esempio, anche i riti di altri sacramenti (il matrimonio, l’ordinazione presbiterale) per sottolineare come la storia della salvezza entra nella storia personale di ogni cristiano che in quel momento riceve il sacramento. Si è poi soffermato sul sacramento della confessione e sulla preghiera recitata dal sacerdote per impartire l’assoluzione: Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. Se riusciamo a entrare dentro la logica della liturgia, dire che il Vangelo non va solo creduto, ma anche celebrato è la cosa più ovvia. Il Vangelo ci mette davanti queste bellissime realtà e noi le possiamo celebrare! Non confondiamo i riti con altri aspetti esterni, che pure ci vogliono, ma penetriamo nella realtà profonda, perché celebrando il Vangelo lo crediamo ancora di più! Questa è la dinamica che ci prepariamo a vivere ogni volta che celebriamo la liturgia, ma in maniera specialissima nel triduo pasquale. Buona partecipazione, allora, alla grande liturgia: il Vangelo che crediamo – ha concluso -volentieri lo celebriamo”.

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