Omelia del Vescovo nella Messa per i 50 anni di presenza dei Cappuccini a Grosseto

“Non dimenticate le opere del Signore” (cfr Sal 77)

E’ il ritornello del Salmo responsoriale che ci siamo ripetuti, quasi incoraggiandoci a capire il senso della festa di questa sera, familiare, semplice, per non dimenticare, per portare al cuore i ricordi di questi cinquant’anni, non come nostalgia, ma come seme nuovo, rinnovato nella nostra vita.

Questo arricchisca il cuore di ognuno di noi di gratitudine, fiducia, speranza e impegno.

In modo particolare questa parrocchia di santa Lucia, nata e cresciuta intorno ai frati, ma anche alla città – la presenza del rappresentante dell’Amministrazione comunale ce lo dice -, e a tutta la Diocesi, perché i frati non sono solo a santa Lucia: sono stati a Pian d’Alma, Punta Ala, Castiglione della Pescaia; sono presenti all’ospedale della Misericordia.
Caro p. Provinciale, tu sei all’inizio del tuo servizio, ma vorrei che sentissi da parte del Vescovo, confratello, e da parte di tutta la comunità tanta gratitudine per questa famiglia, per la presenza, per il lavoro fatto, ma specialmente per la testimonianza del loro essere frati, la loro fraternità, la loro familiarità. E qui a Santa Lucia continuate a rendervene conto direttamente – anche attraverso la bella Festa di santa Lucia che sta iniziando -, per lo stile umano, per il servizio spirituale, per il clima pastorale di famiglia che c’è e che è stato sempre caratterizzato dal lavoro dei frati.

Di questo ne posso dare testimonianza diretta anche altrove, dove i frati cappuccini sono stati. Recentemente ero in Pian d’Alma coi contadini, i quali ancora si sentono timbrati dalla testimonianza evangelica bella dei Cappuccini.
Grazie per questi cinquant’anni!

Un grazie fraterno, fatto – ed è questo il bello – di volti che sono tornati qui, di volti che arrivano e che continueranno a lavorare; fatto di cose belle realizzate attraverso l’umanità semplice, la disponibilità continua, la preparazione, i doni, i carismi e anche tanta semplicità e schiettezza fraterna, che ha permesso ai frati di innestare qui questo dono e di viverlo bene dentro la realtà maremmana e a questo quartiere, che è cresciuto intorno a voi.

Tante cose e fatti da ricordare, però al “succo” e nel concreto della vita di ognuno di noi l’aver visto un modo di vivere, di essere cristiani, un modo di seguire Gesù che ha la sua radice in Francesco d’Assisi, ma che in questi cinquant’anni si è attuato nelle persone, così diverse tra loro, ma anche nelle comunità che sono variate nel corso degli anni, esprimendo comunque sempre l’essere una famiglia, l’essere frati!

E le attività nate, tante, nelle espressioni della pastorale, della spiritualità, del lavoro e anche dell’impegno sociale e popolare e della preghiera e della formazione.

Ecco, per tutte queste cose, con semplicità, ma col cuore e chiedendo aiuto al Signore vogliamo dire grazie perché porti ancora più frutto.

Ci aiuta anche la festa di oggi, l’Esaltazione della Croce, per cogliere prima di tutto la fonte e l’obiettivo di tutto questo.

L’esaltazione della Croce, cioè il riconoscere in essa lo strumento della salvezza – come abbiamo ascoltato nel Vangelo – e nello stesso tempo tendere verso di essa, verso quello stile di vita, quel dare la vita, l’esaltare il dono della vita.
In Francesco questo è stato tutta la sua esistenza: dal Crocifisso di san Damiano, al suo abito a forma di croce, alle stimmate di cui fu segnato, quale immagine di Cristo crocifisso. Ecco, la vita dei frati rimanda a Francesco e, attraverso di lui, a Cristo povero e Crocifisso. Francesco diceva “Amore non amato”, Amore per cui si può piangere tanto ci si sente toccati; Amore che rapisce l’anima; Amore che, per la testimonianza di Francesco, si può incontrare sempre, perché è nel povero e nel lebbroso, è nel sole e nella luna, è nelle cose della creazione, è nella Chiesa, è nei suoi sacerdoti poveri, è nel fratello che abbiamo accanto, è nella Parola e nell’Eucaristia. Lo possiamo incontrare sempre!
L’amore che Francesco e i suoi ci hanno aiutato a riscoprire, tante volte anche nei momenti difficili del dolore e della stessa croce, perché guardando a Gesù con lo stile di Francesco, Egli anche sulla croce è il Cristo vivo, che ci guarda, che ci ascolta, che ci parla e sa ridarci vita, motivi di gioia, motivi per riprendere il cammino.

In questi giorni, nel 1224, sul monte della Verna, Francesco, quasi al termine della sua esperienza e della sua vita, pregando tra le rocce chiedeva al Signore “un po’ del tuo dolore”, per poterlo riamare della stessa misura, ma gli chiedeva anche “un po’ del suo amore”, perché solo per la forza dell’amore si può amare anche con sacrificio. Voleva guardare al suo Signore, voleva contemplarlo, ma anche cercarlo perché diventasse di più la sua vita, perché la assumesse di più, nei suoi modi, perché il Cristo crocifisso e risorto diventasse la sua misura e Francesco potesse sentirsi Cristo in sé, Lui vivo in lui.

Francesco voleva vivere questa misura, questa relazione intensa e questo egli ha lasciato in eredità a ogni frate, nel suo tentativo umano e spirituale di cercare di vivere il Vangelo: ricambiare l’amore ricevuto. Vivere “per sola sua Grazia”, una relazione piena, bella; una scoperta sempre nuova della meraviglia di Dio e della capacità che Lui ci dà di corrispondere al suo amore, di spendere la nostra vita per Lui.

Abbiamo sentito nella II Lettura, Paolo che ci riporta uno dei primi Inni cristiani, dove si parla di Gesù che ci ha amato fino a svuotare se stesso e che per questo “è stato esaltato”. Paolo inizia, però, con una introduzione che dice: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. Essere cristiani è assumere gli stessi Suoi sentimenti, perché Dio ce li comunica, ce li dà. Francesco visse tutto questo, da quando smise di pensare e adorare se stesso e cominciò ad innalzare lo sguardo degli occhi e del cuore a quell’Amore crocifisso, a san Damiano, fino alla visione dolce e dolorosa della notte delle stimmate. Fece un po’ quello che il Libro dei Numeri ci riferisce (I Lettura): alzare lo sguardo per essere salvi, alzare lo sguardo ed avere quella vita che gli uomini perdono per l’aridità di tanti deserti. E a questo brano anche Gesù fa riferimento nel Vangelo: dove il Cristo innalzato sulla croce è il dono di amore del Padre, che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Ecco i due estremi: andar perduto; avere la vita eterna. E’ la grande paura, quella di andar perduti, finire nel nulla; la paura nascosta che riemerge sempre in ciascuno di noi…ma c’è anche la grande speranza, seminata dall’Amore, che diventa desiderio di avere la vita eterna.

Come Francesco e con l’aiuto dei frati che hanno cercato e continuano a cercare qui di testimoniare il Vangelo come lui ha insegnato, noi possiamo guardare alla croce e credere in Gesù, innalzato per noi, e riconoscervi il grande amore.
Questa è la salvezza: tutto il resto nasce da questo. E può farci liberi dalle paure che abbiamo e continuiamo ad avere; può consolarci nel dolore, perché guardando a Lui crocifisso, sappiamo che in quella croce ha portato i nostri pesi e le nostre ferite. E questo lo ha portato all’esaltazione, alla gloria, ma è anche un tirarci fuori dai nostri dolori, è come caricare ciascuno di noi per portarlo verso la grande speranza che il Padre ha suscitato nel nostro cuore facendoci incontrare Gesù.

Questa è la fede cristiana, questo è il messaggio di Francesco, e che in questi 50 anni ha sostenuto il lavoro dei nostri frati cappuccini qui a Grosseto. E attraverso loro, attraverso tanta umanità e semplicità ha creato vita, vitalità, ha sostenuto e formato persone, ha seminato realtà belle, ha seminato la spiritualità francescana nei laici (il Terz’Ordine, la Gifra). Ecco, di tutto questo stasera un grande grazie. Un grazie vero, del cuore, al di là di queste parole; un grazie ora di tutto quello che c’è stato, perché questo ricordo ci riporta al centro del messaggio che rimane sempre valido: che questa fiducia pura nel Signore, che ha dato la vita per noi e che continua a darci questi doni ogni volta che innalziamo lo sguardo. Uno sguardo verso il passato per non dimenticare, ma anche in avanti, al nostro tempo, perché ci sentiamo sostenuti.

Talvolta il nostro tempo diventa come quello del deserto per gli ebrei: arido, qualcosa che ci toglie la vita. Questi momenti ci aiutino a rialzare lo sguardo verso il Signore, dal quale ci è data tutta la vita e per il quale ognuno di noi continua a dedicare la sua vita nella vocazione che gli è stata data. Nel grazie anche una preghiera perché tutti i frati che hanno lavorato qui sentano la consolazione del Signore e tutti quelli che continuano a lavorare qui sentano la missione di cui c’è bisogno nella nostra Chiesa: aiutare le persone ad alzare lo sguardo, a prendere speranza e fiducia, agganciati a quel Signore che è venuto perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza.

Chiediamolo per tutti noi.

Sia lodato Gesù Cristo!

+Rodolfo

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