Omelia del vescovo Rodolfo nella festa della Presentazione del Signore

“Vieni Signore nel tuo tempio santo” (dal salmo 23)

E’ il ritornello che abbiamo ripetuto più volte, dopo la Prima Lettura e prima del Vangelo.
Siano le parole che abitano la nostra persona, pensando al nostro cuore, alle nostre famiglie, alle nostre comunità religiose, alla nostra Chiesa come Suo tempio santo.

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Siamo venuti in Cattedrale per la festa della Presentazione di Gesù al Tempio: è la festa della vita consacrata ed è stata come una chiamata ad essere qui, nel luogo in cui celebriamo la presenza del Signore. Ma stasera gli vogliamo chiedere che questa presenza sia davvero in noi, in ciascuno come battezzato, come consacrato, come sacerdote e faccia sempre di più di ciascuno di noi – come battezzati, come consacrati, come sacerdoti – il suo tempio santo ogni volta che ci mettiamo dinanzi a Lui, in qualsiasi festa e in qualsiasi luogo, e chiederGli che venga Lui nella nostra vita e la renda salda, la renda a misura di Lui.

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E’ la festa della Presentazione al Tempio; è la festa dell’Incontro: così la chiamano i nostri fratelli cristiani d’Oriente. E abbiamo sentito nel brano del Vangelo il luogo di questo incontro.
Vorrei che col cuore e con la mente ci portassimo un po’ nel tempio di Gerusalemme: era il luogo che Dio aveva scelto per stare in mezzo al suo popolo, per restare con Lui.
Era il luogo dove le celebrazioni, le feste, le catechesi, il canto… tutto serviva per tenere viva la fede di quel popolo, la gioia, la ricostruzione dopo i disastri.
Era anche il luogo in cui si teneva viva la speranza del popolo di poter davvero vedere Dio, non solo nella sua gloria, che si diceva abitava il tempio, ma di poter vedere davvero Lui, incontrare Lui in quel luogo.
Era inoltre il luogo del servizio a Dio, dove offrire al Signore i frutti della terra, i frutti del proprio lavoro, le primizie; un luogo importante.
Un luogo, infine, dove – pensando a Simeone e Anna di cui ci parla il Vangelo di Luca – si assisteva al tempo che passava: la vita che va avanti, che ci fa invecchiare. Ma in questo passare, quel luogo serviva a sostenere – con la fede, con la presenza di Dio – la vita con le sue speranze, con le sue fatiche, con i suoi desideri. Abbiamo sentito proprio dal racconto evangelico come Simone e Anna attorno al tempio avevano custodito il senso dell’attesa.
Proprio per esprimere tutte queste cose, in occasione della nascita del primogenito c’era il gesto, che anche Giuseppe e Maria compiono: presentare il primo figlio al tempio, perché è il Signore che lo dona alla coppia. E per avere quel figlio pienamente come dono e come una realtà che profondamente apparteneva ai genitori, si offriva qualcosa: due tortore o due giovani colombi.
Pensiamo a questi elementi: il tempio di Gerusalemme e ciò che esso custodiva, ovvero i sentimenti di una fede fatta di gratitudine, fatta di voglia di riconoscere il bene che Dio ci dona ogni giorno, del desiderio di non dimenticarlo, quel bene, di chiederlo ancora più forte per i momenti difficili e in qualche modo ripagarlo al Signore. E’ la fede di tutto l’Antico Testamento ed è un po’ anche la nostra fede.

Ma quel giorno nel tempio c’era molto di più: quel bambino portato lì come tanti primogeniti, quella realtà piccola di carne era il Figlio di Dio diventato uno di noi!
Se il tempio era il luogo dell’attesa, il luogo della presenza di Dio, adesso la presenza di Dio si era fatta davvero carne in mezzo al suo popolo.

Nel gesto di Maria e di Giuseppe pensiamoci tutti i sentimenti che citavo prima: la gratitudine, il ricordo di fede, di fiducia, di speranza… Ma pensiamo, in questa giovane coppia, qualcosa di più: il mistero che avevano accolto nella loro vita e che non riuscivano certamente a contenere, Dio stesso, il Figlio di Dio, che era il loro figlio!
Portavano delle colombe in riscatto di questo dono, erano poveri, ma chissà quanta gratitudine nel cuore, quanta apertura e quanta offerta di se stessi attraverso quella povera cosa di due colombi.

Cosa dare a Dio, che si dava a loro tutto? Che cosa chiedere ancora a Dio, se si affidava, nel Suo figlio, a loro? Ma anche che cosa tenere per sé, se Lui, Dio Padre, non si era tenuto nulla, aveva dato il Figlio e se il Figlio si era spogliato della sua gloria per essere un bambino, il loro bambino? Che cosa sarebbe stata la vita di questa giovane coppia, di Maria e di Giuseppe, con Lui? Il tempio, questa offerta, questa ricchezza, questo dono e ciò che poteva essere nel cuore di Maria e di Giuseppe… Luca non dice quasi nulla di questi sentimenti, ma ci descrive due persone, che forse sono proprio tutta l’espressione di questi sentimenti di Maria e di Giuseppe, ma in modo particolare dei sentimenti dell’intero popolo di Israele.

“Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore”. (Lc 2, 25-26)

In quel giorno, “spinto dallo Spirito” (cfr Lc 2,27), andò al tempio, prese il bambino tra le braccia e disse: Ora Signore puoi prendere la mia vita, “perché i miei occhi hanno visto la salvezza” (cfr Lc 2,30)
E poi una donna, Anna, che il Vangelo ci presenta come una profetessa, una che si rifaceva alla vita di Dio nella vita semplice di ogni giorno, servendo il tempio. Era da tanti anni vedova, ma la sua vita era diventata stare lì. Era questa la sua profezia: far girare tutta la sua vita attorno al luogo della presenza di Dio.

Sia Simeone che Anna – dice il Vangelo di Luca – furono spinti dallo Spirito ad arrivare al tempio in quel momento, perché in quel momento quel bambino riempiva tutta l’attesa del popolo d’Israele, quel bambino era tutta la luce che il popolo cercava nella sua storia, quel bambino era il nuovo tempio intorno al quale i due anziani – simbolo dell’umanità che attende – adesso potevano appoggiare tutta la loro speranza. La loro vita era colma!
“Ora lascia Signore che il tuo servo vada in pace…”, dice Simeone, perché la sua vita è stata riempita. E Anna che visto il Bambino, ne parlava a tutti (cfr Lc 2,38), perché non c’è altro da dire se non annunciare la presenza di questo bambino in mezzo al suo popolo, perché adesso quel luogo di speranza, di attesa, di lode, non è più i portici del tempio, non è più nemmeno il Santo dei Santi; adesso il tempio è quel Bambino: Dio in mezzo a noi, verso il quale va la nostra speranza, la nostra attesa, la nostra preghiera!

C’è anche un taglio che Luca aggiunge, nelle parole che Simeone rivolge a Maria e che ci fa vedere in che modo Dio starà in mezzo al suo popolo, fino a dare la vita:

“Una spada ti trafiggerà l’anima” (Lc 2,35) e tutti davanti a questo “scandalo” dovranno decidere se Cristo è davvero il centro, il tempio, la ricchezza della loro vita.

Questa prospettiva ci fa vedere che la presenza di Dio in mezzo all’umanità è una presenza che dà tutto se stesso, fino alla vita.
In questa maniera Gesù diventa il nuovo tempio, diventa la luce, diventa la salvezza.

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Cosa suggerisce tutto ciò a noi? Si può vivere la vita, la fede come la vivevano tutti gli Ebrei: col senso di attesa, col desiderio di ringraziamento e di restituirgli qualcosa: Tu mi dai questa grazia e io ti offro; tu sei fedeli alla mia vita e io voglio esserti fedele. Sono alcuni elementi della fede del popolo di Israele e talvolta lo sono anche della nostra: belli, ma non sufficienti.

Ci può essere, invece, una fede dell’incontro, in cui Dio si dà tutto, si mette tutto dinanzi a me come un bambino dinanzi a sua madre. E di fronte a questo amore posso dare tutta la mia vita per Lui.

Lui tutto e io tutto me stesso.

La vita consacrata di cui oggi si celebra la giornata è un segno di questo nella Chiesa: donare tutta la vita, perché Dio si dà tutto e qualcuno deve gridarlo che Dio è la pienezza, che Dio colma la vita!

Un tale impegno riguarda non solo i consacrati, ma tutti i cristiani e in particolare ci riguarda stasera ravvivando in noi – attraverso le due figure di cui ci parla Luca – il senso del desiderio, dell’attesa. Può passare, la vita; possiamo anche diventare anziani e vecchi, ma il desiderio di Dio, di vederlo, può mantenerci vivi, può attrarci, può spingere la nostra vita ad andare davvero sempre verso di Lui. E’ questo il dono della festa che oggi celebriamo: il Signore ci viene incontro in qualsiasi momento della nostra vita e lo possiamo accogliere e riconoscere se questa attenzione, questo desiderio lo teniamo vivo come lo avevano tenuto vivo il vecchio Simeone e la profetessa Anna, attraverso il suo servizio quotidiano, le piccole cose che lei come donna poteva fare attorno al tempio.

Per tutti noi il Signore è così: possiamo continuamente desiderare di conoscerlo meglio, di vederlo a tu per tu come gli occhi di Simeone e Anna, ogni giorno, perché in Gesù questo è avvenuto: Dio ci è venuto incontro e ogni volta che ci mettiamo dinanzi a Lui nell’Eucaristia, nell’ascolto della Parola, nell’esercizio della carità, in un fratello, possiamo avere la gioia nella fede, che ebbero quel giorno Simeone e Anna.
Che questa festa, allora, in modo particolare per i consacrati e le consacrate, ravvivi il senso del tutto di Dio, di Lui che si dà tutto, che non si tiene più nulla. E’ una realtà che incontriamo nell’Eucaristia, nella Parola, nei fratelli, nella Chiesa.

Nella nostra vita talvolta un po’ pigra, addormentata dentro, un po’ poco accesa di entusiasmo, il Signore ravvivi, invece, il desiderio di essere come Simeone e Anna persone che lo desiderano davvero, perché certe che Lui ci attende ogni giorno a questo incontro: nel momento solenne come fu per Simeone e nella quotidianità come Anna. Lei ci dice che la profezia che riguarda la nostra vita è questa: il Signore lo possiamo servire in ogni momento, in ogni fatto, in ogni giornata, in ogni atto quotidiano, perché Lui ha già scelto di essere per noi la pienezza, la luce, il tempio.

“Vieni Signore nel tuo tempio santo!” Ognuno di noi è diventato il tempio verso il quale il Signore è voluto venire! Cerchiamo con semplicità di essere sempre attenti ad accoglierlo per avere nel cuore la gioia di Simeone e la voglia di dirlo a tutti di Anna.

Sia lodato Gesù Cristo!

+Rodolfo

Dopo i riti di comunione e prima di impartire la solenne benedizione, Mons. Vescovo ha voluto ricordare la figura di p. Gaetano Calenne, religioso della Congregazione della Missione (Vincenziani), deceduto nella serata del 1 febbraio.

Ringrazio tutti voi, religiosi e religiose della vostra presenza stasera in Cattedrale e ringrazio p.Paolo Fantaccini, che come vicario episcopale per i religiosi, segue e anima la realtà della vita consacrata nella nostra Diocesi.
Vorrei ricordare, in questo momento, p. Gaetano Calenne, che per 22 anni è stato vice parroco nella Basilica del Sacro Cuore e che è deceduto ieri.
Aveva 91 anni e da 66 era sacerdote.
Poi dà lettura del comunicato della Diocesi:
Tutta la Chiesa di Grosseto si stringe attorno alla famiglia vincenziana della parrocchia del Sacro Cuore per la morte di padre Gaetano, deceduto nella serata di mercoledì a Siena.
Aveva 91 anni, 66 dei quali vissuti come sacerdote. Era nato a Segni (Roma) il 29 gennaio 1926 e il 19 maggio 1951 era stato ordinato sacerdote a Piacenza. Per 22 anni, a partire dal 1 novembre 1992, era stato vice parroco della Basilica del Sacro Cuore, affidata ai Padri Vincenziani. Padre Gaetano era giunto a Grosseto dopo aver speso una fetta significativa della propria vita nell’insegnamento. Laureato in lettere antiche, per 28 anni era stato docente di materie letterarie nelle scuole statali di Siena. Poi per sei anni era stato direttore del convitto ecclesiastico dei Vincenziani a Roma, mentre nei fine settimana prestava il suo servizio sacerdotale in una parrocchia nella zona di Prima Porta. Quindi l’arrivo nella parrocchia del Sacro Cuore, dove ha potuto realizzare pienamente il suo ministero sacerdotale e si è speso molto, con grande zelo e dedizione, nell’ascolto delle confessioni, nella visita ai malati, nell’animazione del volontariato vincenziano e nella Caritas, nonché nell’Azione Cattolica.
Era ritornato a Grosseto, l’ultima volta, il 9 ottobre scorso per partecipare alla Messa di ingresso del parroco p. Egidio Stefani.
Per la Chiesa di Grosseto è stato una presenza mite, zelante, buona, di cui ringraziamo il Signore, la famiglia vincenziana e in modo particolare i missionari vincenziani, che continuano la sua e la presenza di tanti confratelli nella nostra Chiesa, assieme alle suore.
Le esequie saranno celebrate domani alle 15 nella Basilica del Sacro Cuore, tra la gente con cui, in 22 anni di apostolato, ha dato il meglio di sé.

Quindi Mons. Vescovo ha aggiunto a braccio:

P. Gaetano ci ricorda il destino della nostra vita e nel ricordo della sua vita attiva, disponibile, dedita specialmente all’ascolto e alla riconciliazione, ci dà anche l’esempio di come continuare, ognuno, nella propria vocazione e nel proprio ministero. Vogliamo chiedere al Signore la pace per p. Gaetano e per tutti noi la benedizione, la forza, la gioia per la vita a cui Egli ci ha chiamati.

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