Al monastero di Siloe, 11 luglio 2024

Il Vescovo ai monaci: “Insegnateci a pregare!”

Omelia nella festa di San Benedetto e ricevimento di una Professione solenne

Giovedi 11 luglio, festa di san Benedetto abate e patrono d’Europa, il vescovo Giovanni ha celebrato l’Eucaristia nella erigenda chiesa del Monastero di Siloe, a Poggi del Sasso, dove ha ricevuto la Professione perpetua di un monaco: Alberto Antonio Consiglio.

La liturgia, animata dal canto della comunità monastica accompagnata all’organo da Alessandro Mersi dell’ufficio liturgico diocesano, e partecipata da tante persone, è stata l’occasione per rendere grazie a Dio del dono della vita monastica e del “sì” per sempre, pronunciato.

Ecco il testo dell’omelia pronunciata dal Vescovo:

Cari fratelli e sorelle,

riflettiamo un momento su quanto stiamo celebrando: La Professione perpetua o solenne.

C’è chi la considera un azzardo: che ne sai domani cosa succederà?

C’è chi la considera un atto di presunzione: io prometto, io…

Non è niente di tutto questo. I rapporti profondi con Dio sono per la vita! Pensate al Battesimo, che si dà una volta nella vita e non si ripete mai più, perché Dio non ritira i suoi doni e su questo dono certo di Dio nascono e fioriscono le altre vocazioni, quelle che l’apostolo Paolo nella lettura odierna dell’Ufficio, ci elenca.

Ma riflettiamo su questo fratelli e sorelle, non solo Alberto Antonio: con Dio – se mi permettete questa espressione – il “contratto” è per la vita. Ed è sempre così: la Professione religiosa, nei vari Ordini di cui la Chiesa si compone, ma anche il matrimonio (“io prendo te e prometto di esserti fedele sempre…”), l’ordinazione sacerdotale (“vuoi celebrare per tutta la vita i misteri di Cristo…”). Ogni dono di Dio, radicato nel Battesimo, non è temporaneo! Ci sono i singoli ministeri e carismi che, secondo le circostanze o necessità, si possono esplicare anche solo in un determinato momento, ma hanno pur sempre il loro fondamento battesimale, sul quale si costruisce il “sempre!”.

Qualcuno – come detto – può considerarlo un azzardo, un atto di superbia, qualcun altro come un legame alla propria libertà… tu consegni la tua vita a Dio, attraverso una comunità che ti accoglie, e per alcuni questa è una rinuncia alla propria libertà. Non è così! La libertà ci deve servire per fare del bene – quella è la vera libertà -; ci deve servire per scoprire la chiamata di Dio per poterla seguire senza troppi ostacoli. Allora possiamo certamente accogliere oggi la tua Promessa, caro Alberto Antonio, di osservare per tutto il tempo della tua vita il Vangelo, perché è questo che edifica la Chiesa. Certo, la debolezza umana può inficiare questo grande ideale e la Madre Chiesa deve trovare i rimedi, ma l’ideale è questo: io mi consegno, Signore, a te perché questa è la mia profonda libertà. Per questo sono stato creato!

Noi che non abbiamo scelto l’uomo e la donna che ci hanno messo al mondo; noi che non abbiamo scelto il luogo, il tempo, le circostanze…la vita ci è stata data: cosa vogliamo farne? La tua risposta, la loro, la mia, quella battesimale di tutti, quella matrimoniale di molti è di consegnarla al Signore ricca di opere buone. Ed è l’augurio che ti facciamo.

Un’altra osservazione che oggi viene fatta e che spesso mi sento ripetere: a cosa serve un monaco? Cosa rappresenta nella Chiesa di Dio? La risposta viene dalla tradizione stessa della Chiesa, viene dalla sua dottrina, da san Benedetto e da tanti altri padri: tu devi ricordare a tutti noi la radicalità del primo comandamento “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le tue forze”. E’ vero che il secondo è simile al primo; è vero che o ci sono tutti e due o non ce n’è nessuno dei due, almeno nella loro comprensione evangelica, però è anche vero che il primo rimane tale. Allora la tua vita deve ricordare a tutti noi la radicalità del primo comandamento.

Ricordiamo quel giovane che domandò a Gesù: “Qual è il più grande dei comandamenti?” E la risposta del Maestro: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e amerai il prossimo tuo”. A questo serve il monaco: a dire che quei comandamenti sono possibili! Non sono un ideale astratto, con cui ci confrontiamo, ma che perdiamo, perché lo sentiamo troppo alto, troppo difficile, troppo lontano da una quotidianità spesso grigia… Il monaco deve dire, invece, al popolo cristiano che amare Dio e il prossimo è una cosa possibile. Ecco l’utilità comune di cui parla Paolo nei capitoli 11 e 12 della Prima lettera ai Corinzi. La tua Professione di stasera deve servire a me, a loro, a tutti, altrimenti rimane un gesto tuo, che può anche appassire, vivacchiare, tirare a campare… . Il criterio di fondo della validità di un carisma è che serva a tutti e un dono che io chiedo come Vescovo ai monaci è questo: insegnateci a pregare! Noi abbiamo sempre fretta, abbiamo sempre da fare qualche altra cosa, ci corriamo dietro tante volte, perdendo anche occasioni belle della vita… ecco, voi state calmi, insegnateci a pregare. Insegnateci la preghiera silenziosa, quella liturgica, quella del cuore, quella dialogata…la preghiera! E’ questo che la Chiesa vuole da voi e che ha sempre avuto dalle famiglie monastiche e che stasera chiedo a te e ai tuoi confratelli. Con gioia accolgo ora la tua professione.

+Giovanni

(da registrazione)

 

credits: @ufficiocomunicazioni diocesi di Grosseto

 

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