Viaggio nei centri d’ascolto Caritas: settima tappa il Cottolengo

Il Cottolengo ha le strade della città a circondarla, che lambiscono ogni suo lato e il campanile in mattoni che svetta su una rotonda, dove le macchine vorticano senza sosta.
Un gruppo di signore, tutte pensionate, mi accoglie con quella sintesi perfetta di compostezza e calore, che hanno certe nonne – solo loro, forse.
Ci sediamo in un stanza attorno ad un grande tavolo. Parte la nostra conversazione e piano piano prende forma il ritratto del Centro di Ascolto, dei suoi 13 anni di vita. È il volto che tante persone guardano, in un quartiere ampio ed eterogeneo, per trovare un po’ di aiuto materiale e
un po’ di conforto umano: persone che vivono da sole, magari nelle case assegnate dal Comune nei pressi della parrocchia, nuclei familiari, spesso con bambini piccoli; anziani. Si tratta di una platea di circa un centinaio di persone fisse e di un altro numero di utenti meno abituali. Alcuni vengono
da una vita e per le volontarie «sono amici, membri di famiglia di cui abbiamo visto i bambini crescere e la vicinanza nei momenti difficili». Altri, invece, capitano ogni tanto, magari con un po’ di diffidenza, per prendere un po’ di spesa e andar via.

La prima fase dell’accoglienza è l’ascolto, ed è inutile raccontare il cambio di passo che la situazione pandemica ha imposto ad un metodo artigianale: «Prima le cose erano più lente, c’era tempo per parlarsi», chiosa una volontaria. Il metodo è dovuto cambiare e ora le persone non si accolgono in una stanza, ma bisogna che aspettino fuori…
Eppure l’attenzione del Centro d’ascolto è ancora maggiore: la spesa a casa per chi si trova in quarantena, ma anche per chi non riesce più a uscire di casa; si pagano più di prima bollette per chi – più di prima – ha bisogno di
un sostegno economico, che superi il pacco viveri. La situazione, forse, non è mai stata così dura: per i giovani è difficile «reinventarsi» e alcune
famiglie legate agli esercizi del quartiere si trovano in difficoltà inedite. Intercettare questi bisogni sarebbe impossibile senza la Divina Provvidenza, come spiegano le volontarie e alzano gli occhi verso il cielo azzurro che filtra dalle finestre. Non si fa riferimento, però, a rocambolesche vicende di manzoniana memoria, piuttosto alla sensibilità della comunità, che risponde sempre generosamente alle richieste del Centro d’ascolto e agli aiuti stanziati dalla Cei, grazie all’8xMille.

La carità non è soltanto una espressione della comunità, ma un modo per essere comunità, il punto di fusione tra catechesi e servizio: «Io mi trovo bene in questo gruppo, è un’importante occasione di socialità», spiega
una volontaria. Il desiderio di prossimità di chi è aiutato e la voglia di comunità di chi aiuta sono molto simili, forse identici. Non affezionarsi è
impossibile, così come non rispondere alle telefonate più disparate o cercare al telefono qualche habitué che non si fa vedere da un po’. Alla miccia della fede, «che trasforma il volontariato in servizio», seguono
l’impegno e la perseveranza nei momenti difficili, tant’è che «non è affatto facile trovare il cambio», spiegano. Saluto le signore ed esco.
Attorno al campanile le macchine continuano a vorticare e non si accorgono delle storie che si intessono, artigianalmente, all’ombra di un campanile.

(da “Toscana Oggi” del 21 marzo 2021-servizio a cura di Giovanni Cerboni)

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