Viaggio nei centri d’ascolto parrocchiali: quinta tappa, la Santa Famiglia

La Caritas sta ad una parrocchia come l’acqua ad un seme. E’ quell’elemento essenziale perché la pianta cresca, metta radici, si irrobustica, ed è – esso stesso – un bene tanto prezioso che non può essere “acquistato” altrove, ma deve sgorgare dal cuore stesso della comunità. In questa immagine c’è il cammino compiuto dalla comunità parrocchiale della Santa Famiglia rispetto alla carità. Se volessimo dare un nome alla prima “acqua” che ha innaffiato il piccolo seme della carità, non possiamo che rammentare Annamaria Piozzi.

“E’ stata lei – dice il parroco, don Desiderio Gianfelici –a fare da apripista. Ha maturato una sensibilità che poi ha riversato nella sua comunità. Talvolta, invece, c’è il rischio che si cerchi fuori quell’esperienza di servizio, che invece è opportuno far attecchire nella propria comunità”. Il primo centro d’ascolto, allo stato embrionale, nacque anni fa col progetto di destinare fondi per famiglie in grave stato di difficoltà, seppure fin dal suo sorgere la parrocchia della Santa Famiglia abbia sviluppato attenzione sui temi della carità. “Da allora – aggiunge don Desiderio – la Caritas è diventata coinvolgimento della comunità nel suo insieme e delle persone singolarmente”. Il movimento che si è creato attorno alla chiesa bianca della Santa Famiglia è davvero notevole. Il centro d’ascolto è aperto due mattine a settimana – il martedi e il venerdi dalle 10 alle 12 – ma in realtà l’impegno è costante. “Siamo due volontarie fisse per l’ascolto – spiega Rosanna – Altri volontari si occupano della distribuzione del cibo e non solo. Chi viene per la prima volta riceve ciò di cui ha bisogno a livello alimentare; se torna, allora iniziamo un percorso di ascolto profondo per renderci meglio conto di quali fragilità e bisogni la persona ha e come provare a rispondere. Dove non arriviamo noi, ci appoggiamo alla Caritas diocesana oppure agli assistenti sociali. In alcuni casi sono questi ultimi che ci segnalano situazioni che ci prendiamo in carico”.

Al di là di tutto, però un centro d’ascolto parrocchiale è prima di tutto una scuola di relazioni. “Non siamo un servizio socioassistenziale – ci tengono a ricordare i volontari – ma il segno di una comunità cristiana che si china sulle ferite dell’altro. Anche noi veniamo con le nostre fatiche e qui riceviamo il senso di quella carità che Cristo ci insegna”. Da pochi mesi al gruppo si è aggiunta una nuova volontaria, Michela, cui è demandata tutta la parte – molto impegnativa – che attiene alla rendicontazione, alla burocrazia e ai rapporti con gli enti. “Possiamo dire che quello della carità è un respiro cresciuto col servizio stesso – dice il parroco – Anche la comunità lo ha sentito e risponde”. Come? Attraverso varie iniziative. Come la “terza domenica del mese”, in cui la solidarietà della parrocchia si materializza nella raccolta di aiuti. Non solo per Caritas, ma anche per le missioni e per altri progetti.

“Otto anni fa – racconta Wilma, un’altra volontaria – siamo partite con 20 famiglie accompagnate; oggi siamo ad 80, che significano più di 230 persone. Una volta al mese diamo il pacco viveri, mentre ogni due settimane collaboriamo con la Coop al Progetto Buonfine“. Ma quel che più sta a cuore, come detto, è la relazione: “L’affetto vale quanto il pacco che consegniamo”, dicono i volontari. Che si sono inventati, per questo, un’apposita iniziative: il thè di Caritas. “Ci incontriamo in parrocchia con le persone che ricevono aiuto e trascorriamo del tempo insieme. Diventa un’occasione per conoscersi di più, raccontarsi e anche favorire quello scambio di competenze da cui nascono a volte anche progetti di inserimento lavorativo”.

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