Il Bambino di Betlemme

Essere dono. Dare vita per amore
Settimana della Bellezza 2020 – Museo Diocesano d’arte sacra di Grosseto

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Mt 2, 8-10

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”.9 Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.

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Ci inginocchiamo con i santi Magi alla mangiatoia. Il battito del cuore del divino Bambino ha guidato la stella che vi ci ha condotto. La sua luce, lo splendore dell’eterna luce, risplende diversamente nell’aureola sul capo dei santi, che la Santa Chiesa ci indica quale corte del nuovo Re dei re. Essi ci fanno percepire qualche cosa del mistero della nostra chiamata.

Maria e Giuseppe non sono distinti, nella liturgia della Notte di Natale, dal loro divino Bambino. In questo periodo non c’è alcuna festa particolare, poiché tutte le feste del Signore sono loro feste, feste della Sacra Famiglia. Essi non vengono alla mangiatoia, perché già sono là. Chi viene al Bambino, viene anche a loro ed essi sono completamente immersi nella sua luce celeste.

Il Bambino nella mangiatoia, venuto per compiere la volontà del Padre fino alla morte di Croce, vede nello spirito davanti a sé tutti coloro che lo seguiranno in questo cammino. Il suo cuore pulsa con quello del discepolo Stefano che egli per primo ha atteso con le palme al trono del Padre. Le sue manine ce lo indica come il nostro modello esemplare, come se dovesse dire: ecco l’oro, che da voi attendo. Venite e bevete alle sorgenti di acqua viva che il Salvatore apre agli assetati e che scorrendo conduce alla vita eterna. La Parola è diventata carne e si trova davanti a noi nella figura di un Bambinello neonato.

Ogni mistero di questa vita, in cui tentiamo di penetrare con amante meditazione, è per noi una sorgente di vita eterna. E lo stesso Salvatore, che ci pone davanti agli occhi la parola della Scrittura su tutti i suoi cammini terreni nella figura umana, dimora fra noi nascosto nella figura del pane eucaristico, Egli in essa viene a noi ogni giorno come pane di vita. In questa e in quella figura ci è vicino, in questa e in quella vuole essere da noi cercato e trovato. L’una sostiene l’altra. Se vedessimo il Salvatore con gli occhi spirituali davanti a noi, come le Sacre Scritture ce lo indicano, allora si risveglierebbe il nostro desiderio di accoglierLo in noi come pane di vita.

Edith Stein, I Re Magi in Il Castello dell’anima.

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L’opera. Il Museo Diocesano di Grosseto conserva questo raro esempio di statue conocchie, cioè un genere artistico destinato alla devozione popolare, ossia sculture manichino composte soltanto di testa, braccia e piedi imperniati su intelaiature di legno che venivano abbigliate con abiti in tessuto e acconciature posticce per utilizzarle in processioni o sacre rappresentazioni. Queste stesse sculture presentano ancora gli snodi ai lati delle spalle, per articolare le braccia quando si provvedeva alla vestizione.

L’uso devozionale delle statue conocchie era molto in voga già dal XIV secolo, probabilmente per assecondare l’esigenza di teatralizzare i riti popolari legati alla celebrazione dei santi o ad avvenimenti liturgici, come in questo caso, una probabile Natività di Gesù o un’Adorazione dei Magi. Peraltro molte sacre rappresentazioni, specialmente quelle legate ai riti della Passione, erano assai diffuse in territorio senese, realizzate da artisti quali Francesco di Giorgio Martini o Giacomo Cozzarelli. Di quest’ultimo ricordiamo la bella Lamentazione nella Basilica dell’Osservanza.

Le statue grossetane di Maria e Giuseppe, di cui si ignora la provenienza, sembrano fatte apposta per un Presepe, come dimostrano i loro volti solenni e contemplativi, gli sguardi rivolti verso il basso e quindi concentrati ad ammirare il Bambino adagiato nella mangiatoia. Figure di grandi dimensioni, destinate ad un allestimento importante, il loro stato di conservazione è perfetto a riprova di una qualità esecutiva alta, fortemente plastica, anche grazie all’uso dello stucco che modella assai meglio l’intaglio ligneo, accentuando i volumi dei volti e permettendo una ricca resa dei particolari fisionomici, mentre l’ausilio del colore dà risalto agli incarnati e ai dettagli anatomici quali guance, labbra, sopracciglia.

Lo scultore che ha realizzato le due figure ha condiviso idee e soluzioni circolanti a Siena nella prima metà del Cinquecento, con accenti di idealizzazione classica ormai sganciati dalle impostazioni più espressioniste e patetiche di illustri predecessori quattrocenteschi. In tal senso è stata proposta un’attribuzione, seppure ancora dubitativa, al senese Giovanni Andrea Galletti che, attivo nei primi decenni del XVI secolo, mostra coincidenze stilistiche con il classicismo raffaellesco del Sodoma e con il gusto romano giunto a Siena attraverso le esperienze del Peruzzi. Un gusto che Galletti traduce in forme solide e ponderate e che sembra improntare di sé anche le belle teste grossetane.

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