“Abitati dallo Spirito, immersi in questo tempo”. Omelia del vescovo nella veglia di Pentecoste

• saluto
A tutti il benvenuto nella Cattedrale, che stasera è un po’ il Cenacolo per tutta la diocesi.
Ci sono i sacerdoti, ci siete voi laici, ci sono i religiosi e le religiose in questo momento di veglia si esprime e si manifesta la realtà di famiglia di Dio, che il Signore ci ha fatto dono di essere, con tanti carismi, con tante attitudini, con tanta buona volontà e tanto lavoro.
Ci sia un senso di gratitudine in noi per questo e ci sia anche la preghiera per chiedere al Signore quel dono dello Spirito che tutto ravviva, rinnova, rafforza, purifica.
Siamo qui per questa veglia. Vogliamo vegliare sostenuti da una promessa.
Vegliare, prima di tutto.
Questa parola che ci dice l’attenzione del cuore, degli occhi, della nostra intelligenza e di tutto noi stessi in questo tempo non facile, in questo tempo in cui sappiamo tante cose forse come mai si sono sapute nell’umanità; in cui vediamo tante cose; in cui abbiamo anche tanta esperienza di diverse realtà belle, ma anche un tempo in cui camminiamo spesso nell’oscurità, nell’incertezza, nella fragilità, nella debolezza. Con la fede, certo, con la tradizione, con la storia, con l’esperienza di Chiesa che siamo e che abbiamo e sapendo il bene che questo ci comunica e ci fa vivere, ma nello stesso tempo in un periodo in cui tutto viene messo in discussione, quasi smentito dal mondo, dalle stesse leggi fatte, da modi di vivere che vengono proposti.
Vegliare in questo tempo. Vegliare sostenuti da una promessa.
E’ ciò che ci ricorda l’attesa nel Cenacolo:
“Non abbiate paura”, aveva detto in quella stessa stanza Gesù. “Non vi lascio soli… Bisogna che io vada…e allora il Padre vi manderà lo Spirito che vi ricorderà ogni cosa”.
Coscienti del bene, coscienti delle fatiche e delle difficoltà del tempo, però animati da questo dono che Gesù ha promesso a nome del Padre.

In una delle introduzioni, stasera, c’è stata una bellissima espressione:
“Lo Spirito ci ridica le parole che ha udito dal Padre e dal Figlio”.
Per questo siamo qui stasera! Per assaporare parole che abbiamo sentito tante volte, ma che come vita abbiamo bisogno di sentire di nuovo, vive, forti per noi.

Cosa dice lo Spirito oggi
In questi giorni di preparazione alla festa di Pentecoste mi sono messo a rileggere alcune preghiere allo Spirito Santo e alcuni testi. Ce n’è uno che mi ha colpito molto e che vorrei riproporre a voi.
E’ un discorso di Papa Paolo VI poco dopo la conclusione del Concilio, in momenti in cui si viveva qualcosa di simile ad oggi: un grande tremore di fronte ad altrettanto grandi cose che si aprivano e a grandi difficoltà che si manifestavano. Di fronte anche alla bellezza del mondo moderno, così si esprime Paolo VI: “gigante meraviglioso di scienza e potenza, ma a tratti, cieco e folle su ciò che più importa: l’amore e la vita” (udienza generale, mercoledì 29 novembre 1972)
Questo mondo con tante cose splendide, ma a volte “cieco e folle su ciò che più importa”.
Ecco, in questa situazione, negli anni immediatamente successivi al Concilio, anche con la spinta e la coscienza di vitalità che lo Spirito aveva animato nella Chiesa, Paolo VI si fa alcune domande:
“Noi quale bisogno avvertiamo, primo e ultimo, per questa nostra Chiesa benedetta e diletta, quale?”
“Quale bisogno primo e ultimo?”, qualcosa che davvero completi la realtà della Chiesa.
E continua:
“Lo dobbiamo dire, quasi trepidanti e preganti, perché è il suo mistero e la sua vita, voi lo sapete: lo Spirito, lo Spirito Santo, animatore e santificatore della Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio, suo pegno e preludio di vita beata ed eterna (Cfr. Lumen Gentium, 5).La Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello sguardo. La Chiesa ha bisogno d’essere tempio di Spirito Santo (Cfr. 1 Cor. 3, 16-17; 6, 19; 2 Cor. 6, 16), cioè di totale mondezza e di vita interiore; ha bisogno di risentire dentro di sé, nella muta vacuità di noi uomini moderni, tutti estroversi per l’incantesimo della vita esteriore, seducente, affascinante, corruttrice con lusinghe di falsa felicità, di risentire, diciamo, salire dal profondo della sua intima personalità, quasi un pianto, una poesia, una preghiera, un inno, la voce orante cioè dello Spirito, che, come c’insegna S. Paolo, a noi si sostituisce e prega in noi e per noi «con gemiti ineffabili», e che interpreta Lui il discorso che noi da soli non sapremmo rivolgere a Dio (Cfr. Rom. 8, 26-27). Ha bisogno la Chiesa di riacquistare l’ansia, il gusto, la certezza della sua verità (Cfr. Io. 16, 13), e di ascoltare con inviolabile silenzio e con docile disponibilità la voce, anzi il colloquio parlante nell’assorbimento contemplativo dello Spirito; il Quale insegna «ogni verità» (Ibid.); e poi ha bisogno la Chiesa di sentir rifluire per tutte le sue umane facoltà l’onda dell’amore, di quell’amore che si chiama carità, e che appunto è diffusa nei nostri cuori proprio «dallo Spirito Santo che a noi è stato dato» (Rom. 5, 5); e quindi, tutta penetrata di fede, la Chiesa ha bisogno di sperimentare un nuovo stimolo di attivismo, l’espressione nelle opere di questa carità (Cfr. Gal. 5, 6), anzi la sua pressione, il suo zelo, la sua urgenza (2 Cor. 5, 14), la testimonianza, l’apostolato”.
E termina con un appello accorato:
“Uomini vivi, voi giovani, e voi anime consacrate, voi fratelli nel sacerdozio, ci ascoltate? Di questo ha bisogno la Chiesa. Ha bisogno dello Spirito Santo. Dello Spirito Santo in noi, in ciascuno di noi, e in noi tutti insieme, in noi-Chiesa”
Questo linguaggio così denso, che ci riporta a cinquanta anni fa nel riascoltare la voce di Paolo VI, sia l’animo con cui vegliamo questa notte, personalmente e insieme, cercando con impegno personale, ma anche come Chiesa – in questo anno della misericordia, in questo anno così aperto – cercando questo spirito.
La Veglia ci ha fatto ascoltare, nella Parola, come lo Spirito può entrare nella storia. E nella storia può essere critico, vitale, fecondo, vivo. Nella storia e nella nostra storia, in ognuno di noi.
Questo cerchiamo, questo chiediamo!

Cosa ci suggerisce la Parola ascoltata
Ripercorro velocemente le letture che abbiamo sentito proclamare stasera.
Nella storia di Babele ci viene ricordato che c’è sempre un mondo che vuol fare da sé, senza Dio, anzi che vuole compattarsi, essere unito, forte, potente scalando il cielo, prendendo il posto di Dio. E questo accade in ognuno di noi, ma accade anche nel mondo e nelle sue strutture di potere. Lo Spirito, che ci ha riferito le parole che ha udito dal Padre e dal Figlio, ci invita a scorgere la causa di tanti mali e di tanta frammentazione, di tante divisioni e di tanto dolore che c’è nel mondo; di distanze, di offese, proprio a causa di questo tentativo di occupare, noi, il posto di Dio, di non fare quel che Lui ci ha affidato, ma ad essere noi a diventare dèi della nostra vita e anche padroni del mondo, adorando noi stessi e ciò che pensiamo.
Dio confonde tutto questo.
Lo Spirito si avvicina e sbriciola, come vediamo che accade nel mondo: da sé il mondo si sta sbriciolando, nel momento in cui prova ad organizzarsi come se Dio non ci fosse.
Ma se lo Spirito confonde le arroganze e le superbie, ci dice anche – ed era la seconda lettura tratta dall’Esodo – l’interesse di Dio alla dignità dei popoli, rappresentati da un popolo povero, schiavo, che Lui libera fino a dargli una terra, fino a chiamarlo ai piedi della montagna e su di essa stringere un patto di amicizia con Lui, in quel deserto arido, ma che faceva scoprire la ricchezza vera della sua vita, che era Dio stesso.
La fedeltà di Dio è ben più grande di tutti i disastri che quello stesso popolo (ma anche ognuno di noi) coi suoi peccati attirerà su di sé, in quel segno delle membra sparse nella valle deserta; ossa sparse nel deserto che, invece, per la presenza dello Spirito, possono riprendere vita.
Lo Spirito può trarre fuori dalla tomba, può far rivivere, può far ritrovare la terra del proprio riposo.
Questo è ciò che compie Dio nella storia e lo ha compiuto per il popolo d’Israele, lo ha compiuto nella Chiesa. Sappiamo anche come lo ha compiuto nella storia di ognuno di noi: quante volte ha ricostruito la nostra vita!
E in questa terra un popolo nuovo, i cui figli – è la lettura del profeta Gioele -, le ragazze, i giovani e perfino gli schiavi e le schiave potranno essere ispirati a parlare con la forza dello spirito, cioè con la forza di Dio, che arriva a tutti e che va oltre le divisioni sociali.
Questo è capace di fare lo Spirito, fino a quello che ci dice Paolo nell’Epistola: dopo che Gesù ha dato la sua vita e il suo spirito, i credenti, sono ancora più partecipi di questo tormento del mondo, della terra che geme, ma i battezzati sanno che già le primizie dello spirito sono dentro di loro, che lo spirito abita in loro, fa fremere il loro cuore, fa saper dire a loro quella parola che è la più antica della storia dell’eternità: babbo!
Questo ci suggerisce lo Spirito: dai grandi gesti di liberazione, a quelli del fare rinascere e riprendere vita, fino a donarci l’intimità dell’a-tu-per-tu come figli nei confronti di Dio.
E Gesù, nel brano del Vangelo che è stato proclamato, conclude l’arco di questo cammino:
“Se qualcuno ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7,37-38)
Diceva questo dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in Lui. Diceva questo di noi, di quello Spirito che ci è donato nel Battesimo, nella Cresima, nella consacrazione per i consacrati, nell’ordinazione per i sacerdoti, nel matrimonio per gli sposi; è il dono che abbiamo ricevuto e che nello stesso tempo invochiamo, come Paolo VI ricordava alla Chiesa di cercarlo.
Noi l’aspettiamo, sicuri già di averlo, ma lo aspettiamo vegliando. Allora, se la Parola che abbiamo sentito ci ha fatto intuire qualcosa per noi, per la nostra vitalità come Chiesa, come famiglie, come laici, come sacerdoti, come religiosi e religiose, come vescovo, in questa notte dobbiamo avere il coraggio di dirglielo, come lo abbiamo cantato: “Vieni, vieni Spirito! Illumina, rafforza, purifica, sostieni, brucia, scalda, spingi, manda”.
• Il mandato ai laici
In questa notte per la nostra Chiesa, oltre i doni che la animano sempre, ne abbiamo alcuni speciali, che come Vescovo do a voi laici, che vi siete preparati, avete dato la vostra disponibilità e che volete essere strumenti per un servizio a tutta la comunità, nelle vostre parrocchie e in tutta la Diocesi.
Vi dico grazie!
E’ parte della vostra vitalità, è bello che qualcuno abbia il coraggio e la gioia di mettere il suo tempo, la sua testimonianza a disposizione del proprio parroco e dei fratelli.
E’ un dono che questa notte, con il mandato, si stabilizza, ma che deve avere una sua vivacità sempre nuova.
Vegliamo nella notte fondati su una promessa: la promessa dei doni. E con una realtà, che è il corpo ecclesiale con tanti di questi doni. Lo abbiamo sentito mentre ho dato il mandato a coloro che saranno lettori, così come a coloro che tra poco riceveranno il ministero straordinario dell’Eucaristia. Non sia solo un fatto di parole o solo un servizio, ma sia una realtà che prende la nostra vita, nella meditazione quotidiana della Parola, in modo che essa diventi il vostro respiro, la vostra forza e quando la leggete e la annunciate non ci sarà solo il suono, ma anche la vostra testimonianza.
Lo stesso per il servizio all’altare: non per apparire, ma proprio perché la liturgia sia un segno bello della presenza di Dio e la vostra attenzione, il vostro cuore, il vostro spirito e specialmente la vostra carità anche nel portare, quando i parroci ve ne daranno incarico, l’Eucaristia ai malati, appaiano nel gesto esterno e provengano dalla vostra vita interiore.
Più vivete l’Eucaristia come un dono, più avrete voglia di riceverla e la porterete bene ai fratelli.
Questa è la veglia che stiamo facendo stanotte, con gli occhi attenti a questo tempo, alle sue bellezze, alle sue grandi aperture, alle sue fragilità e ai suoi grandi rischi, fondati su una promessa, che ci deve togliere la paura e dare il coraggio della parresia nell’annunciare, perché si incarni nelle nostre realtà: di vescovo, di sacerdoti, di diaconi, di religiosi e religiose, di laici che credono alla Parola di Dio e mettono la loro vita a Sua disposizione e al servizio della liturgia e dell’essere Chiesa, nei suoi gesti liturgici, ma anche di fraternità, di colloquio, di missionarietà nelle nostre famiglie, nelle parrocchie, nei luoghi di lavoro e nell’essere persone di carità, perché quando poi porterete il Corpo di Cristo siate voi già segno di questa Sua presenza col vostro amore e con la vostra dedizione.
Che lo Spirito Santo, che ha generato queste realtà, le tenga vive in noi, le rafforzi e il nostro cuore sappia fare questa piccola veglia, questa attenzione, questa scelta, quotidianamente, perché il dono di Dio ci permei e ci renda segni della Sua presenza in questo tempo, in questa nostra Chiesa.
Sia lodato Gesù Cristo!
+Rodolfo

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