Studioso appassionato della Maremma e della Chiesa di Grosseto, lascia importanti ricerche e libri

Don Cencioni in ricordo di Giotto Minucci, deceduto a 90 anni

“Piango un amico fraterno con il quale la mia vita si è intrecciata la prima volta in Seminario nel 1940 proseguendo fino ad oggi, sempre con grande stima, schiettezza, affetto profondo”. Don Franco Cencioni ricorda così l’amico Giotto Minucci, deceduto la notte scorsa, proprio nelle stesse ore in cui il sacerdote celebra 66 anni di ordinazione presbiterale.

Giotto e don Franco erano coetanei: nati entrambi nel luglio del 1926 a distanza di undici giorni l’uno dall’altro, si erano conosciuti nel 1940 nel Seminario vescovile di Grosseto dove Giotto era entrato nel 1938 completandovi gli studi ginnasiali nel 1943.

“Abbiamo avuto la fortuna – racconta don Franco – di godere della vicinanza di educatori indimenticabili come il vescovo Galeazzi, mons. Dianziani, mons. Pompili, mons. Tacconi e il canonico Gaggioli”.

Poi le strade di don Franco e di Giotto si separarono momentaneamente. Il primo nel 1950 fu ordinato prete, mentre Giotto lavorò alle Versegge, si sposò, divenne babbo. Si sono reincontrati negli anni successivi, senza perdersi più.

“E’ stato un uomo vissuto nella fede e nella pratica di vita cristiana – continua mons. Cencioni – Personalmente l’ho sempre guardato con fraterna invidia per la sua pietà cristiana, per il suo amore verso le tradizioni di fede della nostra terra e per il suo saper sempre sentire con la Chiesa anche nei momenti di grande difficoltà. Giotto è stato un uomo appassionato: ha amato la fede, la Chiesa, la sua terra, l’ha studiata, indagata e ne ha coltivato la memoria attraverso i suoi scritti, che ci restano come un patrimonio di grande valore, testimonianza di una tenacia di cui tutti dobbiamo essergli grati”.

Anche per la Chiesa di Grosseto il contributo che Giotto Minucci ha dato con le sue ricerche è stato importante. Basti citare i volumi “Un “Sigillum” del XIV secolo inciso sulla facciata del Duomo di Grosseto”; “La città di Grosseto e i suoi vescovi”; “La Madonna delle Grazie e i suoi altari”; “I grandi usurpatori di campane da Napoleone a Mussolini”0, con cui censì le campane delle torri civiche e delle chiese della provincia di Grosseto fra il 1101 e il 1942.

“Fu un vero figlio di questa terra – commenta don Franco – e sono felice che la città nel 2010 gli abbia assegnato il Grifone d’Oro, perché Giotto se lo è meritato tutto. E’ stato un uomo che si è fatto da solo, che ha custodito la memoria di questa nostra terra e della sua Montepescali, dimostrando che anche una storia apparentemente minore, se indagata, è generosa nel restituire tanto e nel far crescere la consapevolezza di ciò che siamo stati. Ricordo ancora – conclude don Franco – la tenacia con la quale, andato in pensione, volle conseguire il diploma all’Istituto magistrale. Alla commissione d’esame sciorinò con disinvoltura pezzi interi del De Bello Gallico, mandando letteralmente in confusione gli esaminatori, colpiti da quest’uomo così innamorato degli studi. In questo periodo stava portan1do avanti una ricerca sui cavalieri del Santo sepolcro in Maremma: ci resta il rammarico di non aver potuto godere di questo suo ennesimo lavoro portato a compimento”.

condividi su