Mons. Cetoloni ha presieduto la Messa solenne in Cattedrale

“Il volto di Dio è nella misura di Gesù, che nulla si è tenuto per sè”. Omelia del Vescovo nella domenica delle Palme

Tra poco nella preghiera-canto che si chiama prefazio, troveremo delle parole che fanno da sintesi a tutto quello che abbiamo ascoltato con commozione e con attenzione nella proclamazione del Passio:

“Egli (Gesù) che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori e consegnandosi ad una ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua resurrezione ci acquistò la salvezza. Si consegnò ad una ingiusta condanna, portò il peso dei nostri (dei miei, quelli di ognuno di voi) peccati, lavò le nostre colpe, con la sua resurrezione ci acquistò la salvezza”.

E’ tutto qui ilsucco” della nostra fede cristiana, che celebreremo intensamente in questi giorni della Settimana Santa.

E’ bello vedere quanti oggi siete in Cattedrale per questo inizio, aiutati anche dal segno bello, semplice e festoso delle palme e dei rami d’ulivo. Il perché di tutta questa celebrazione ce lo ha detto la preghiera all’inizio della Messa:

“Fa che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della Sua passione, per partecipare alla gloria della resurrezione”.

Gesù ha compiuto questo e il racconto del Vangelo ce lo ha rimesso davanti, credo toccando il cuore di ognuno di noi. Bisogna, però, che questa verità l’abbiamo sempre presente nel grande insegnamento che c’è dentro questo racconto, affinché si incida nei nostri cuori.

Santa Angela da Foligno si sentì dire un giorno da Gesù: “Angela, non ti ho amata per scherzo”.
E questo vale per ognuno di noi.

Tutto il resto – i segni, i canti, la partecipazione – sono frutto di questa verità e il mezzo per poter arrivare e crescere sempre di più in questi sentimenti, che devono radicare la nostra fede cristiana, per comprendere e vivere quello che Gesù ha vissuto per noi.

Oggi ci aiuta a capire di più il grande contrasto che avvertiamo nella Parola proclamata.

Da un lato la festosità iniziale, che ci fa rivivere quello che la gente di Gerusalemme visse, ma che anche noi viviamo di fronte al bene e alla bellezza che avvertiamo venire da Dio. Quell’attendere il Salvatore, un momento di festa, di felicità. Gerusalemme era la città tanto amata da Gesù e che da tanto attendeva l’incontro col suo Signore e quel giorno gli corre incontro: lo abbiamo sentito e abbiamo provato a riviverlo nella processione delle Palme e dei rami d’ulivo.

Dall’altro lato, però, c’è il grande contrasto ascoltato nel lungo racconto del Vangelo della passione secondo Matteo, dove si accumula tutto: l’amore di Gesù, che fa festa di Pasqua, ma dentro quella Pasqua c’è il tradimento. E Gesù lo sa. Dentro quella Pasqua ci sono le promesse di Pietro…E Gesù sa che poi Pietro lo rinnegherà. Dentro la realtà di Gerusalemme in quei giorni c’è tutto il potere religioso e civile, gli uomini chiamati a guidare il popolo a incontrare il Signore e ci sono gli uomini del servizio deputati a tenere l’ordine in quella città. Ebbene, tutto si rivolterà contro Gesù, sotto forma di false testimonianze, di condanna, di timore da parte di Pilato…

L’accoglienza, la gioia, la festa e poi il tradimento e la condanna.

E’ Gerusalemme? Furono solo gli ebrei e i romani del tempo? No, siamo anche noi, perché il Signore è passato attraverso tutto questo per i peccati di tutti noi e perché l’umanità continua ad essere così: vede, accoglie con entusiasmo il bene e le proposte di bene, ma poi sembra non riuscire a trarne le conseguenze.
Ognuno di noi – lo dico io per primo, per me –nella propria vita. E allora ci troviamo a dire: perché il male sembra vincere sul bene? Perché nonostante tutto il bene proposto all’umanità, il bene che la Chiesa predica e offre e che tanti uomini e donne buoni testimoniano, continua ad esserci il male? Sono le domande che rimangono e sotto le quali Nostro Signore si è posto.

Che cosa, allora, ci dà sicurezza? Accanto ai nostri desideri che non arrivano fino in fondo: accanto alle nostre promesse che non si mantengono perfettamente; accanto a tutto questo dramma di tradimento, una cosa rimane fissa: l’amore di Gesù, la fedeltà di Gesù al Padre e a noi, per cui non solo promette “Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue”, ma davvero si fa portare via tutto, si fa portar via la sua vita ed è in quel momento, quando il Centurione lo vede morire così, impoverito di tutto – gli altri evangelisti sottolineano perdonando ancora una volta e chiamando amico chi lo ha tradito – se ne esce con una professione di fede:
“Davvero quest’uomo è Figlio di Dio” (Mt 27,56)

La sua fedeltà al Padre, la sua fedeltà all’umanità rimane fissa una volta per sempre, nonostante la storia coi limiti e il male.

Egli si è inchiodato alla croce per amore di ognuno di noi.

Se questo ci tocca il cuore, allora cominciamo a diventare cristiani.

Se questo, nelle fasi della nostra vita, avendolo dinanzi, tocca ancora il nostro cuore e – come dice san Paolo – assumiamo anche noi i sentimenti che furono di Cristo, allora cresciamo come cristiani. Allora nella nostra vita, nonostante i contrasti o le nostre incoerenze, ci troviamo di fronte a questa sicurezza di Dio: ha dato la vita per noi, possiamo appoggiare sempre la nostra esistenza, le nostre fatiche, i nostri limiti, i nostri peccati su quello che Lui ha fatto per noi. Ed Egli è fedele, come in quelle ore della passione, così per tutta la storia dell’umanità, perché l’umanità si trovi di fronte a uno che ha amato fino a dare la propria vita.

E Gesù non è un semplice uomo che ha dato la vita per un ideale. Ce lo ripete Paolo nella seconda lettura, in quello che è il più antico canto cristiano che esista. San Paolo dice ai cristiani di Filippi:
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2, 5)
Vuol dire: rispondete al Signore nello stesso modo in cui Lui è stato verso di voi, cercate di amarlo come Lui vi ha amati. Lui che “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio essere come Dio” (Fil 2, 6), non si tenne questa indicibile ricchezza per sé. Il Dio di Gesù non è un Dio che basta a se stesso, autosufficiente, chiuso in sé. No, Egli “svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,7), attraversando tutte le nostre storie, tutte le nostre fasi di vita, “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2, 8-11).

In quest’uomo che ha dato la sua vita noi vediamo Dio!

Il volto di Dio è nella misura di quest’uomo che non si è tenuto nulla per sé, ma si è lasciato portare via la vita per cercare di far capire agli uomini quanto stanno a cuore a Dio!

La Settimana Santa è questo tesoro prezioso che ogni anno ci è data la possibilità di celebrare.
Auguro a tutti di farlo intensamente, perché tocchi il nostro cuore e perché ci sentiamo confortati dalla vicinanza di Dio, rassicurati nelle fatiche che abbiamo da affrontare, ma anche chiamati a fare altrettanto.

Allora la Pasqua, che è il passare di Gesù dalla morte alla vita, diventa anche il nostro quotidiano passare dal meno bene al bene, dall’astio alla riconciliazione, dalla ferita al perdono, dall’aver ricevuto forse qualcosa che non ci meritavamo alla generosità, che semina il bene anche laddove sembra che non ci sia.

E’ la testimonianza di Gesù, che noi abbiamo da tradurre nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nel nostro lavoro, nella nostra realtà sociale.

Che questa Pasqua, questa Settimana ravvivino queste verità e ci aiutino a viverle davvero con serenità, sicurezza e intensità.

Sia lodato Gesù Cristo!

+Rodolfo

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