L’omelia del vescovo Giovanni nella veglia pasquale

Fratelli e sorelle,

l’abbondanza della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, i gesti che abbiamo compiuto (la benedizione e l’accensione del cero e ora, accompagnati dalla intercessione dei santi, la benedizione del fonte battesimale) rendono davvero unica questa liturgia in tutto l’anno.

La veglia pasquale, come giustamente siamo abituati a chiamarla, è davvero il centro di tutto l’anno liturgico e ringraziamo Iddio che possiamo ancora celebrarla. E ringraziamo Iddio anche che possiamo essere qui per riascoltare, attraverso le pagine dell’Antico Testamento, l’alleanza che Dio ha fatto con l’uomo: dalla grande notte della creazione alla alleanza con Abramo, con i padri ebrei liberati dall’Egitto e poi la nuova alleanza, che viene sancita con i profeti, non più scritta “su tavole di pietra”, come erano i comandamenti di Dio, ma nel cuore dell’uomo (ce lo ricordava il profeta Ezechiele: “vi darò un cuore nuovo”)

Ebbene: tutti questi segni e simboli sono espressi certamente col linguaggio del tempo, ma al di là di quel linguaggio, noi cogliamo il significato profondo; al di là delle immagini utilizzate, che sono lontane dal nostro quotidiano, quello che ci interessa viene trasmesso: Dio è entrato in comunione con l’uomo, ha stretto una alleanza, che in Gesù Cristo, diventa nuova ed eterna!

Fate caso alle parole che il sacerdote pronuncia quando, nella Messa, consacra il vino: calice della nuova ed eterna alleanza. E allora possiamo comprendere tutto ciò che abbiamo celebrato il Giovedì e il Venerdì Santo, la Coena Domini e la croce del Signore. La resurrezione senza la croce è radicale pretesa dell’uomo di essere autosufficiente; la croce senza resurrezione è solo una sconfitta dell’uomo, anzi di quel progetto di Dio che – lo abbiamo accennato – desidera entrare in comunione con l’uomo.

Celebrare la croce, come abbiamo fatto nel Venerdì Santo, non è esaltare il dolore come un valore da perseguire, altrimenti le cure mediche che la Chiesa ha sempre praticato e gli ospedali che ha fondato sarebbero una realtà anticristiana e non ci sarebbe stato comandato di dar da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete, se il dolore e la sofferenza fossero da esaltare. La resurrezione, che rende ragione di quella croce, non è però una vana speranza per sopportare la vita, una illusione con cui l’uomo credente vuole consolarsi! La vita eterna è la nostra definitiva chiamata!

Vorrei qui, insieme con voi, ascoltare sant’Agostino in una sua ammirabile pagina. Dice così:

“Gesù com’è diventato la nostra speranza? Ecco lo avete udito: perchè è stato tentato, ha patito e è risorto, per questo Per questo è diventato la nostra speranza. (…) In lui tu puoi vedere la tua fatica e la tua ricompensa: la tua fatica nella passione, la tua ricompensa nella resurrezione. Con le sue fatiche, le tentazioni, i patimenti, Cristo ti ha fatto vedere la vita in cui sei, con la resurrezione ti ha fatto vedere la vita in cui sarai. Noi sapevano solo che l’uomo nasce e muore, ma non sapevamo che risorge e vive in eterno. Per questo è diventato la nostra speranza nelle tribolazioni e nelle tentazioni. Egli stesso è diventato nostra speranza e ora siamo in cammino verso la Speranza”.

La speranza è la virtù teologale che, insieme alla carità e alla fede, ci viene donata il giorno del battesimo, però la speranza è una virtù spesso fraintesa. Non è una specie di effetto placebo, né una illusione; l’apostolo Pietro ci invita a rendere ragione della speranza che è in noi: al mondo, ma prima di tutto a noi stessi!

Fratelli, se sfogliamo i giornali e le cronache dei nostri giorni, troviamo sempre notizie poco belle, tragiche anzi: da quelle mondiali, fino alle cronache di casa nostra, di delitti, di violenze… difficilissimo trovare qualche notizia buona… Il mio non è un giudizio sui giornalisti; è una constatazione. Non è un invito a ignorare il tragico che è in mezzo a noi, nell’illusione che non esista; viviamo certamente in tempi difficili e in una profonda crisi di identità e di valori; siamo una società frammentata e che invecchia rapidamente, ce lo dicono tutti i giorni statistiche varie. Noi cristiani facciamo parte di questa società, nel bene e nel male, e allora quale speranza noi portiamo? “Il grave rischio del mondo attuale, dice Evangelii Gaudium, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata”.

Facciamo caso, fratelli, a queste parole: cuore comodo e avaro, che è l’esatto contrario di quel cuore di carne di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele. Il cuore del ricco epulone, il cuore del ricco stolto, come leggiamo nelle parabole di san Luca, sono l’esempio più chiaro del cuore comodo e avaro. E questo non riguarda solo l’individuo, ma anche la Chiesa e la società.

Allora come poter vivere la testimonianza cristiana?

Noi cristiani cosa possiamo dire al nostro tempo?

Dobbiamo prima di tutto educare noi stessi. Alla gente del nostro tempo dobbiamo saper dire la Parola di sempre: che Gesù è il Signore, che Gesù è risorto. Ma come facciamo a dirglielo? Il primo passo da fare è ascoltare la Parola. Prima di tutto dobbiamo dirlo a noi stessi che Gesù è Signore ed è risorto! Dobbiamo considerarci sempre discepoli bisognosi di imparare da quell’unico Maestro. E cito qui il grande e immortale Paolo VI:

“Tu ci sei necessario o Cristo, o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita, per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo”.

Il secondo passo da compiere è fare memoria della propria storia come occasione di misericordia di Dio, per potersi riconciliare con noi stessi. Io con me stesso e ciascuno di noi con se stesso, sennò non portiamo una speranza, ma viviamo in conflitto dentro di noi e questo conflitto, prima o poi, esce fuori. Potersi riconciliare con noi stessi: pensiamo alle parole del Salmo 138

“Tu mi scruti e mi conosci, Signore (…) Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi” mentre “mi tessevi nel seno di mia madre”

Vivere, dunque, in pace con se stessi e con la propria coscienza, che però – non dimentichiamolo mai – è sempre una coscienza da formare ed educare con le parole del Signore e Maestro.

Infine l’ultimo passo: esercitarsi con gesti gratuiti di servizio e di aiuto fraterno senza aspettarsi niente, senza perdere la pace interiore e accusare il prossimo di ingratitudine. Dei gesti gratuiti di amore fraterno.

L’ascolto della Parola, fare memoria e vivere riconciliati con se stessi, essere capaci di gesti di gratuità, di un amore che non si aspetta altro: è questo che ci educa profondamente a essere persone che possono e vogliono testimoniare la speranza.

Celebrare la speranza significa anche non cedere al pessimismo. Esso ci impedisce di vedere il bene, anche piccolo e nascosto, che pure c’è. Questo pessimismo, fratelli, non è questione di carattere o di temperamento, ma è una malattia dello spirito. Il vecchio catechismo lo chiamava accidia spirituale, cioè la rinuncia di testimoniare il Vangelo perchè tanto non serve a nulla, perchè tanto viviamo in tempi così balordi che è fatica sprecata… E allora la tentazione di ritirarsi in se stessi, di rifugiarsi in uno spiritualismo, che però assomiglia tanto al servo pigro della parabola, che va a nascondere il talento ricevuto.

Coraggio, fratelli e sorelle: ci è stato consegnato un tesoro grande, il Vangelo! Pur nella fragilità della nostra umanità sia individuale che ecclesiale, noi possiamo e vogliamo condividerlo! E’ la buona Pasqua che ci auguriamo reciprocamente, “perchè – sono parole di Agostino e guardate che esempio bello sarebbe – il mondo ascoltando creda, credendo speri e sperando ami”.

E’ la strada che il Vangelo ci apre davanti. E’ un dono grande che Dio ci ha fatto: non lo sciupiamo! Non lo immiseriamo in questioncelle di alcuna importanza! Diamolo grande, diamolo col cuore che abbiamo ascoltato dai profeti e certamente renderà persone positive, contente anche noi, pur coi pesi che dobbiamo portare.

Buona Pasqua!

+Giovanni
(da registrazione)

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