“Maria ci liberi il cuore e ci insegni a farci dimora del Signore”. L’omelia del vescovo Rodolfo nella festa della Madonna delle Grazie

Carissimi fratelli e sorelle, carissimi sacerdoti, diaconi, religiosi,
buona festa della Madonna delle Grazie, la nostra patrona, la Madre della nostra Chiesa e di ognuno di noi!

Benvenuti, questa sera, in Cattedrale, nel santuario della Madonna delle Grazie!
In questi giorni i pellegrinaggi giubilari dalle varie parrocchie, durante la novena: ringrazio p. Gabriele per la sua predicazione, ringrazio i sacerdoti della Cattedrale, ringrazio la Congregazione della Madonna delle Grazie per la bellezza, la fede, l’amore con cui tutto questo è stato portato avanti per arrivare a oggi, a questa festa con tutte le Parrocchie, con i sacerdoti, con tutti voi, per un’unica celebrazione, un’unica Eucaristia, un unico grazie, un unico desiderio e un’unica preghiera davanti alla Madre della nostra Chiesa.
Lei che, proprio come una mamma, ci fa una sola famiglia, ci fa essere Chiesa, famiglia del suo Figlio. Un’unica famiglia, un’unica città, un’unica Diocesi, che chiede Grazie, grazie, ognuno per quel che più gli sta a cuore per le realtà in cui siamo inseriti. Tutte queste grazie è come se convergessero in un’unica domanda di crescita nella fede, di crescita nella comunione, in questo segno di unità di cui deve essere la Chiesa e anche di crescita nella testimonianza di carità al nostro interno, ma specialmente nelle opere, nel nostro esprimersi, nel nostro guardare alle realtà in cui siamo inseriti.
E’ la grazia che chiediamo.

Maria, Madre di Misericordia
Ci facciamo aiutare, in queste parole di riflessione, da quello che Papa Francesco ha scritto nella Bolla con cui ha indetto il Giubileo della Misericordia, nel quale è inserito la solennità della Madonna delle Grazie.
Scrive il Papa, quasi alla fine della Bolla:
“Il pensiero ora si volge alla Madre della Misericordia (facciamoci attrarre da queste parole!). La dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne”.
La nostra attenzione a Lei, la nostra devozione, come persone e come Chiesa, il nostro presentare, attraverso di Lei, il bisogno che abbiamo di misericordia, di questo amore pieno di Dio sulla nostra vita e scoprirlo attraverso il Suo sguardo che – come dice Papa Francesco – ci fa “riscoprire la gioia della tenerezza di Dio” su di noi.

Tenerezza di Dio, misericordia: per chiederla, prima di tutto, ma anche per gioirne già, per scoprirla nella nostra vita, per viverla come sostegno alla nostra esistenza personale e di ogni comunità: del Vescovo, dei sacerdoti, dei religiosi, delle vostre famiglie, delle parrocchie, delle realtà che fanno tutta la nostra comunità. Come sostegno, ma anche come spinta, come forza per testimoniarla nelle opere di bene, nelle opere di misericordia.
L’Inno del giubileo dice: “Misericordiosi come il Padre”, perché è da questa grazia, da questa misericordia ricevuta, gustata come tenerezza – il cristianesimo deve essere un buon gusto, un godere di questo dono! -, le nostre relazioni (tra noi, nel presbiterio, nella famiglia, nella comunità) e le nostre azioni possono crescere in bellezza, in chiarezza, in trasparenza, in umanità. Perché la misericordia diventi davvero lo specchio e il fiore di questo Anno, così che poi possiamo esserne anche annunciatori agli altri, per un risveglio della fede nelle nostre famiglie, nelle nostre parrocchie, in tutta la Diocesi.
Siamo qui con tutto noi stessi e a nome di tutti, soprattutto di quelli che non ci pensano mai, di quelli che forse hanno dimenticato, ma che certamente nel loro cuore hanno lo spazio per la misericordia di Dio. Per questo siamo fatti! Per questo ogni uomo e ogni donna sono creati!
Lo vogliamo chiedere a Maria: attraverso i suoi occhi di Madre riscoprire la gioia della tenerezza di Dio!

Tre immagini dal Vangelo. La prima: dimora
Le letture della Parola di Dio che avete sentito proclamate sono quelle della VI Domenica di Pasqua: è come se Maria si facesse da parte per aiutarci a percepire il Vangelo, Gesù come la vera grazia; a percepire in Gesù la tenerezza e la misericordia di Dio.
E ripensando specialmente al brano del Vangelo, mi pare che Gesù ce lo dica con tre immagini.
Una è quella della dimora; una è quella del dono dello Spirito; la terza è quella della realtà della pace.
Dimora, Spirito, Pace.
Dice Gesù: “Se uno mi ama osserverà la mia Parola” (Gv 14,23)
Amare è una parola grande, ma è anche il nostro essere qui. Tutti noi abbiamo riconosciuto l’amore di Dio nella nostra vita, in quello che ci è stato comunicato, in quello che celebriamo e abbiamo riconosciuto in Gesù il volto della misericordia di Dio. Avere, allora, scoperto la benevolenza del Signore, l’essercene fatti toccare il cuore – talvolta con più intensità, talvolta forse un po’ distratti – significa, è “Se uno mi ama”, detto da Gesù. Siamo in questa strada!
No so se siamo grandi innamorati di Gesù e di Dio, ma forse ognuno di noi di fronte alle domande che si sentì fare Pietro: “Mi ami tu?” (cfr. Gv 21, 15-19), è capace di rispondere: “Signore, lo sai che ti amo! Lo sai come sono. Conosci la mia fragilità, ma conosci anche quel desidero. Lo sai che ti voglio, ti vorrei voler bene!”
Ecco, noi siamo qui in questa misura: “Se uno mi ama”.
“Se uno mi ama osserverà la mia Parola”, perché quando si comincia a voler bene a qualcuno si sta attenti a quello che la persona ci dice, si osserva quel che ci dice, lo si applica.
A pensarci bene anche noi che siamo qui non è che possiamo dire che siamo di piena coerenza, che siamo sempre costanti in questo osservare il Suo Vangelo, però credo che tutti cerchiamo di farlo, cerchiamo di seguirlo.
“Se uno mi ama osserverà la mai Parola”: è in fondo il nostro voler essere cristiani.
A questo nostro impegno Gesù ci dice la grande risposta di tenerezza da parte di Dio:
“Se uno mi ama osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23)
Ecco come la realtà di Dio, nella persona del Padre e di Gesù, vuole entrare, percorrere le strade che noi gli apriamo, cercando di amare e di osservare la Parola del Signore nel nostro impegno di esser cristiani: risponde col fare dimora in noi. Vuol abitare in noi come una condivisione di vita, di casa!
Il Padre e il Figlio inquilini del nostro cuore, dei nostri affetti, dei nostri pensieri, delle nostre azioni!
E’ una espressione grande, ma è la grandezza di Dio che non dipende da noi: è Lui che si sa far chiudere tutto anche nel cuore della più piccola persona che è tra noi. Si sa far chiudere nel cuore di chi lo ama!
Santa Chiara scriveva in una delle sue lettere ad Agnese di Praga:
“Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi” (cfr Fonti Francescane, Terza lettera ad Agnese)
L’infinito non può contenere Dio, ma l’anima fedele può diventare sua dimora! Questo è vero per ognuno di noi ed è ciò che Dio desidera per ciascuno, come lo ha desiderato per Maria quando l’ha chiamata “Piena di grazia” (cfr Lc 1,29). Ognuno casa per Dio, ognuno dimora di Dio, ognuno madre per Gesù; ognuno può essere grembo per il Signore.
E’ il mistero di Dio, è quello che Lui vuole; noi possiamo solo accoglierlo, possiamo meravigliarci, ringraziarlo e forse proprio questa è la grazia: consapevoli di ciò, aprirgli di più il cuore, farlo abitare di più e meglio in noi.
L’altra immagine di Gesù che vogliamo prendere stasera è questa:
“Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricordierà tutto ciò che vi ho detto” (Gv 14,26)
Sì, perché la vita di Dio in noi non sta ferma, diventa creativa, proprio come quando Dio mandò il suo spirito e creò il mondo.
Egli manda il suo Spirito in noi, ci da il suo amore che ci insegna e ci ricorda quello che Gesù ha fatto, la sua vita, le sue parole. Certo, le conosciamo, sono fissate nella storia, sono scritte nel Vangelo, ma è lo Spirito Santo che le rende attuali, vive per noi, ce le rimette nel cuore, come la prima volta che Gesù le disse entrarono nel cuore degli apostoli. Quelle parole “presero” la loro vita; quelle parole vive diventarono la loro vita.
Lo Spirito Santo, che è la promessa che Dio mantiene per noi oggi come fu per gli apostoli a Pentecoste, rende viva la Parola di Dio.
Quello che abbiamo sentito dire da Gesù per i suoi, è vivo e vero per noi. Per questo genera in noi la fecondità, ci fa vivere e ci fa portare oggi i frutti di questa Parola. Ci aiuta a scoprire oggi le strade che Dio vuole che percorriamo in un mondo tanto diverso da quando Gesù pronunciò queste parole, da quando nel corso dei secoli altre generazioni le hanno incarnate. Dio vuol far dimora in noi oggi, nel mondo come è ora, ma con questa vitalità, per insegnarci, rimetterci davanti a quello che Gesù è stato ed ha detto e a ricordarcelo, a rimetterlo nel cuore affinché diventi vita e forza per noi.
Pensiamo a Maria, pensiamo a quello che lo Spirito Santo generò in lei: in qualche modo è vero per ognuno di noi. Ecco allora la grazia che cerchiamo di cogliere attraverso i suoi occhi e specialmente attraverso la Parola di Gesù: la tenerezza di Dio per farci generare Gesù oggi!
“Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre” (Mc 3,35) dice Gesù.

La terza parola che vogliamo prendere dal Vangelo di oggi è: pace.
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da il mondo io la do a voi” (Gv 14,27)
La pace non è tranquillità; la pace, nella Parola di Dio, è la pienezza che colma e trabocca. Colma il cuore e trabocca dal cuore di chi semina la pace attorno a sé. Chi ha questa pace ne diventa seminatore; chi costruisce questa pace, Gesù dice “è beato”, ha cioè incontrato Gesù, lo ha accolto nella sua vita e sarà detto figlio di Dio.
Questa è la pace che ci dà Gesù. Non come quella che dà il mondo, una pace che anche all’epoca di Gesù sembrava ci fosse, ma era imposta con la forza, con il ricatto, con i compromessi. Gesù da la sua pace dando la sua vita, colmando la nostra esistenza della sua esistenza, riempiendo di sé e dei suoi doni i vuoti della nostra vita. Ogni tipo di vuoto: dal peccato alla solitudine, alle insufficienze, alla malattia, alla stanchezza, alla delusione. Col suo perdono egli riempie gli spazi di vuoto e di male che il peccato ha creato e continuamente, in maniera grande o piccola, crea in noi.

Conclusione

Ecco i tre modi che stasera la Parola di Dio ci suggerisce per pensare la sua tenerezza verso di noi: abitare in noi è il suo desiderio; dare a noi il suo Spirito, metterci il suo amore, renderci capaci di amare come Lui ama: la sua pienezza che colma il nostro cuore.
Allora, davvero, prendono rilievo le ultime parole di Gesù nel brano del Vangelo di oggi. Se questo è vero, se questo è in noi ed è quello che fa Dio in noi (non pensiamo a ciò che noi tentiamo di fare ogni volta e che ci accorgiamo di non riuscire a fare; pensiamo qualche volta a quello che Dio è capace di fare in noi), Gesù ci affida questa esortazione:
“Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14, 26) perché nell’amore non c’è più paura.
Cari fratelli, sono le grazie che questa sera chiediamo per noi e per tutta la Chiesa, perché nella fragilità e nella limitatezza di cui tutti noi siamo ben coscienti, viviamo con gioia e con fierezza, con sicurezza umile l’intenzione misericordiosa di Dio verso di noi.
Maria ci insegni ad aprirgli con amore la nostra vita, ogni giorno, perché vi abiti, perché la renda viva, bella, non stanca, non arresa, non adattata, ma feconda come è lo Spirito Santo: nelle nostre persone, nelle nostre relazioni, nelle attività delle nostre parrocchie e in quelle che ognuno porta avanti nella sua professione, nella nostra Diocesi, in ciò che cerchiamo di vivere insieme come unica Chiesa.
Chiediamo, infine, la grazia che la nostra vita faccia intuire agli altri quello che abbiamo nel cuore, perché i nostri gesti, le nostre parole, le nostre azioni tentano, vogliono parlare di misericordia.
Che le nostre azioni nascano da questa tenerezza!
Il Papa, nella Bolla di indizione del Giubleo, scrive:
“Le nostre comunità siano oasi di misericordia” (Misericordiae Vultus n.—-). Se ognuno di noi potesse, in ogni situazione, senza fare cose straordinarie, essere oasi di questo dono, tra noi e verso tutti!
Maria col suo esempio ci liberi il cuore e ci insegni a farGli posto, dimora, sempre!
Così il Papa conclude, parlando di Maria nella Bolla:
“Lei attesta che la misericordia del suo Figlio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno”.
Questa è la grazia di fronte alla quale possiamo rimettere sempre la nostra vita, farla riempire e farsi dare quella forza di portare frutti di bene che tutti desideriamo e per i quali tutti – e di ciò ringrazio Dio e ringrazio ognuno – ci stiamo impegnando.
Che questo giorno ravvivi questo desiderio, questa fierezza e questo impegno.
Sia lodato Gesù Cristo!

+Rodolfo

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