Cattedrale di Grosseto, 29 giugno 2024

Ogni evangelico servizio nasce e cresce partendo da una rinuncia. Non dimentichiamolo!

Omelia nella Messa di ordinazione diaconale di Ciro Buonocunto

Caro vescovo Rodolfo,
e tutti voi sacerdoti, diaconi, popolo di Dio.

Vi faccio questo invito: trasferiamoci anche noi dalle parti di Cesarea di Filippo per accogliere la domanda del Signore Gesù: “La gente chi dice che sia il figlio dell’uomo?”

Oggi come allora le risposte possono essere molte. Certamente le risposte riferite dagli apostoli sono molto nobili e lusinghiere in bocca a degli ebrei: Elia, Geremia o uno dei profeti. Direi che era il massimo che un ebreo poteva dire: un eletto di Dio, un profeta. Ed è davvero singolare l’opinione che Gesù sia Giovanni Battista, questa figura così imponente che abbiamo celebrato qualche giorno fa. Tutti ricordiamo come tra i discepoli ad Efeso, molto lontano dalle rive del Giordano, vi erano anche quelli del Battista.

Ovviamente, però, non tutti la pensavano così. “E’ un indemoniato ed è fuori di sè” (Gv 10,20) riporta il Vangelo di Giovanni al termine del discorso del Buon pastore. “E’ uno in società con Belzebul, principe dei demòni”, dicono dopo la guarigione di un ossesso (l’abbiamo letto qualche domenica fa).
E’ un agitatore populista, nemico dell’imperatore…dicono davanti a Pilato: “Se lo liberi non sei amico di Cesare” (Gv 19,12), anzi, “è un impostore”, dicono allo stesso Pilato per convincerlo a mettere guardie davanti al sepolcro (cfr Mt 27,64)

Oggi come allora le opinioni sono varie. Non mancano risposte di stima e di considerazione anche se non di fede. Ricordiamo il celebre testo di Benedetto Croce “Perché non possiamo non dirci cristiani” (1942) o le discussioni sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici: un segno di umanità, un segno nobile della storia umana.. della sua sofferenza e delle sue tragedie…

Sarà sempre così: di fronte a Lui ci sarà sempre una varietà di opinioni e di posizioni, quasi eco – se possiamo interpretarle così – delle parole del vecchio Simeone a Maria, che leggiamo nel Vangelo di Luca: “Segno di contraddizione…” (Lc 2,34)

Ho tuttavia la netta sensazione che oggi molti, alla domanda, risponderebbero: Gesù di Nazareth…? E chi è?
E’ questa, forse, una caratteristica dei nostri tempi: l’ignoranza religiosa, che è sempre esistita, è come rafforzata da una diffusa indifferenza…
Certamente anche questa domanda può essere rivolta in molti modi e con molti accenti: da una vera curiosità di chi non ha mai sentito parlare di lui, oppure da chi lo ritiene un vago personaggio storico, di cui si raccontano tante improbabili vicende, ma ci può essere anche un pregiudizio, specialmente nella nostra società, ben radicato: roba da preti, da clericali, muffa di sacrestia…

Nasce allora la seconda, più importante domanda: “Voi chi dite che io sia?” E questa domanda, rivolta agli apostoli, oggi è per noi, per te caro Ciro.
La nostra risposta, la tua risposta, non può essere che quella di Pietro: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”.
E’ la risposta della fede apostolica, la fede dei nostri padri e delle nostre madri, la fede della Chiesa. Ricordiamoci come accanto alla professione di fede del primo degli apostoli, ci sia la stessa professione di fede di Marta prima della resurrezione di suo fratello Lazzaro: “Io credo che tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente” (Gv 11,27)

Ecco, allora, che la nostra professione di fede, la fede di Pietro e di Paolo, la fede di Marta, la fede dei primi cristiani, di generazione in generazione, è arrivata anche a noi.

Caro fratello,
tu appartieni alla generazione cristiana, al popolo cristiano con il battesimo e la cresima e questa fede che già professi, ora, con l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione, deve diventare esemplare per tutti i credenti in Cristo. E’ quanto chiederemo al Signore nella preghiera:

“l’esempio della sua vita, generosa e casta, sia un richiamo costante al Vangelo e susciti imitatori nel tuo popolo santo”.

Così pregherò, chiedendo al Signore questa coerenza e apostolicità della tua fede.

Poi ti consegnerò il Vangelo, che non è tuo, non è mio, non è la tua esperienza né la mia: è il Vangelo di Cristo e da qui noi dobbiamo partire.
Ricorda quanto insegna il Signore e Maestro: “Non la carne – cioè la sapienza umana – e il sangue – cioè l’appartenenza ad un popolo particolare – te lo hanno rivelato, ma il Padre che è nei cieli”: questo dono è posto ora anche nelle tue mani.

Parla volentieri di Gesù, non stancarti di parlare di Lui! “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1Cor 9.,16)

Ricorda quanto ci insegna l’Evangelii Gaudium: “Non si può perseverare in una evangelizzazione piena di fervore, se non si resta convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo; non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni; non è la stessa cosa poterrlo ascoltare o ignorare la sua parola, adorare, riposare in Lui o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo vangelo, piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione” (EG 266).

Teniamo sempre presenti le parole del Signore e Maestro: “Questa è la vita eterna: che conoscano te unico vero Dio e colui che hai mandato Gesù Cristo” (Gv 17,3)
Noi vescovi, presbiteri, diaconi non abbiamo altro scopo, non abbiamo altro ideale, non abbiamo altra speranza che questa: che Gesù sia conosciuto, sia creduto, sia amato.
Conosciuto, creduto e amato: questo è il nostro servizio, questo si aspetta il popolo cristiano da noi, questo il mondo ha diritto di avere: noi esistiamo per questo!

Certo, molte sono le strade per conoscere, credere e amare Gesù, però non possiamo mai perdere di vista Lui. Ho detto prima parla volentieri di Gesù e perché quel volentieri non sia l’emozione di un momento, la Chiesa ti insegna come parlare volentieri. Consegnandoti il libro dei Vangeli ti dirò:

Ricevi il Vangelo di Cristo (…) Credi sempre ciò che proclami.

La coerenza tra la fede e la proclamazione è essenziale. Si sentirono trafiggere il cuore, dicono gli atti degli apostoli, alla predicazione di Pietro (cfr At 2,37)

Permettimi, allora, che mi fermi un momento sulla liturgia che tu celebrerai.

La insostituibile maestra della vita cristiana, ti insegna a ricercare questa coerenza spirituale. Riflettiamo insieme sulla proclamazione del Vangelo, nella celebrazione eucaristica quando tutto il popolo è radunato. Chiederai prima di tutto la benedizione al celebrante, come richiamo vivo alla consegna del Vangelo, che ora riceverai. Il celebrante ti benedirà chiedendo che il Signore sia nel tuo cuore e nelle tue labbra perché tu possa annunciare degnamente il suo Vangelo.
Questa preghiera, che richiama il profeta Isaia, ti insegna che questa Parola non è tua, ma che deve entrare nel tuo cuore, nel tuo io più profondo perché tu possa davvero annunciarla e non semplicemente leggerla. Certamente la Parola non è nostra, ma la diciamo noi e non possiamo né vogliamo essere suoi neutrali registratori, per questo la liturgia parla al cuore, al cuore trafitto appunto.

Nella celebrazione l’evangeliario è accompagnato da ceri accesi per non dimenticare che “lampadai ai miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (cfr Sal 118)
Poi ti rivolgerai ai presenti che con te celebrano l’Eucaristia, ché avvertano la presenza del Signore nella sua Parola: “Il Signore sia con voi” … ricordando l’insegnamento della Dei Verbum, che dice: “Dio parla sempre con la sposa del suo diletto Figlio” (D.V. cap. 8 n. 2)

Poi, quasi accarezzando l’evangeliario, lo segnerai con la croce e poi segnerai te stesso, insieme al popolo, chiedendo con questo gesto che il tuo cuore, la tua mente, la tua parola, cioè tutto te stesso, sia riempito di quella Parola, quasi ripetendo con il profeta Isaia: “Ecco manda me” (Is 6,8), e col profeta Geremia: “Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa, mi sforzavo di contenerlo ma non potevo”. (Ger 20,9)

Infine, terminata la proclamazione, riaffermandone l’origine divina (Parola del Signore), bacerai l’evangeliario dicendo: “La parola del Signor cancelli i nostri peccati”.

Quella Parola si è fatta carne ed è diventata pace e riconciliazione nostra. Di questa pace e riconciliazione tu possa essere sempre un convinto assertore, dopo averne fatta gioiosa esperienza.

Pace e riconciliazione: è il grande servizio che oggi ti è chiesto dalla Chiesa e dalla situazione storica che stiamo vivendo. L’istituzione dei diaconi, lo ricordiamo tutti, è nata da dissapori e mormorazioni nella prima comunità cristiana: fanno parte della fragilità umana, non ce ne meravigliamo e tanto meno ce ne scandalizziamo.
Quello che è importante è la risposta degli apostoli: si risponde mettendoci al servizio, istituendo un servizio. Quelle mormorazioni svelavano un bisogno e al bisogno si risponde cercando di capire e mettendosi al servizio. Così come ha fatto il Maestro: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). E noi non possiamo cercare altre strade.

La parola servizio è un termine ormai logorato dall’uso che ne viene fatto: significa molte cose anche molto diverse fra loro. E’ l’inevitabile conseguenza del tempo che passa e delle diverse circostanze della storia. Ma con la Parola di Dio noi possiamo recuperarne il senso più vero e profondo: La parola di Dio non scritta in un libro, ma incarnata, cioè Gesù, la sua vita, le sue opere, i suoi gesti.

Ogni evangelico servizio nasce e cresce partendo da una rinuncia. Non dimentichiamolo! Gesù ha fatto così: “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio… ma umiliò se stesso facendosi obbediente…”. (Fil 2,6.8) La strada è questa! Non possiamo servire rinunciando a noi stessi nel senso egocentrico di questa parola, altrimenti offriremo agli altri un servizio di cui magari non hanno bisogno e che diventa soltanto la soddisfazione nostra.
Ricordiamoci tutti come le promesse battesimali iniziano con una rinuncia. Dobbiamo però ben riflettere sul senso vero di questa rinuncia per il regno dei cieli: non nasce dal disprezzo – che è una sabbia mobile su cui non si costruisce nulla – ma da un desiderio; il desiderio che ci dice che “il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto…” e bisogna andare a cercarlo; quel desiderio che ti fa perdere le altre perle per “trovare quella preziosa” (CFR Mt 13)

Dunque da questa ricerca, sostenuta dal desiderio, nasce il vero servizio, l’essenza vera del ministero ordinato.

Noi preghiamo per te, caro Ciro, perché questo desiderio non venga mai meno, anzi si rafforzi con l’andare degli anni e dell’esperienza e ti auguriamo – io tuo vescovo, i tuoi confratelli, la tua famiglia, tutti i presenti – che tu possa ripetere sempre con verità la parola di Pietro ascoltate nella Messa di ieri sera: “Signore tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene”. (Gv 21,17)

Amen!

+Giovanni

 

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