Omelia del vescovo Rodolfo per la Pasqua di Resurrezione

Carissimi fratelli e sorelle,

ancora una volta buona Pasqua, qui nel centro della nostra Chiesa diocesana: nella Cattedrale.

L’augurio, contenuto in queste parole, è che quello che stiamo celebrando, ricordando con solennità quella che è davvero la radice della nostra fede e la radice da cui attingono vita la nostra esistenza, la nostra speranza, il nostro impegno.

Tutto sia allietato da questo momento a cui siamo arrivati attraverso il cammino quaresimale e con una intensa Settimana Santa, ma oggi davvero è come se questa vita germinasse, scoppiasse piena di vita!

L’augurio è quello delle parole usate da Gesù per i suoi: essere come i tralci attaccati alla vite. La linfa, la vita che il Cristo ha dato, passi a noi, perché portiamo frutto e passi alle nostre persone, al nostro impegno, alle nostre famiglie, alle cose che abbiamo da affrontare, al tempo che viviamo, che spesso non ha il sapore di Pasqua, ma continua – anche in questi giorni – ad avere l’odore della passione.

Noi celebriamo la Pasqua in queste situazioni, perché sappiamo che essa è la verità più bella, più grande che Dio abbia generato attraverso il dono della Sua vita e perché possiamo sentircene immersi.

Questi auguri vorrei che avessero la freschezza, la vivacità, il desiderio ed il correre che abbiamo sentito narrato nel Vangelo: Maria di Magdala, questa donna che davvero amava Gesù e lo aveva seguito; Giovanni, Pietro, che corrono…e Giovanni, più giovane, che arriva prima; e Pietro che guarda e vede!

Dicono alcuni che alla tomba arrivò prima l’amore, rispetto all’entusiasmo di Pietro o alla sua posizione all’interno dei dodici: questa donna, col desiderio di piangere il suo Signore; Giovanni, con quell’amore che sentiva il Maestro che lo aveva scelto.

Qualcuno di voi è stato nei luoghi dove questi fatti sono accaduti e proprio a metà tra il Calvario, la piccola collina dove Gesù fu crocifisso, e il luogo dell’Anastasis, che noi chiamiamo Santo Sepolcro, dentro la chiesa greco-ortodossa c’è un piccolo cippo che chiamano “l’ombelico del mondo”, perché è lì che è iniziata la vita: tra il Calvario e il luogo della resurrezione. E’ lì che è stata data la vita per noi; è lì che la vita ha vinto la morte e noi partecipiamo di questa vittoria.

Allora l’augurio è che celebriamo la Pasqua con tanta solennità per ravvivare prima di tutto la nostra appartenenza, l’essere nati spiritualmente, ma anche umanamente, dalla resurrezione, perché dal modo di vivere di Gesù, dal suo modo di dare se stesso e dalla sua vittoria sulla morte vengono tante conseguenze umane, tante scelte.

Ravviviamo, dunque, la nostra appartenenza a questa vita!

Per questo all’inizio il gesto semplice dell’aspersione con l’acqua, che ci ricorda il Battesimo, cioè il nostro essere immersi nella morte e nella risurrezione di Gesù. Un evento inatteso anche agli apostoli – seppure Gesù lo aveva preannunciato, ma non era stato compreso -; un evento incredibile e infatti ci volle tempo perché essi credessero alla resurrezione. Ma quando ne furono convinti, sperimentandolo più volte (“Abbiamo mangiato con Lui dopo la resurrezione dai morti” At 10, 41), recuperarono la fiducia in tutta quella che era stata la vita di Gesù, nel suo modo di vivere, in ciò che aveva detto, nello stile che aveva, nei suoi insegnamenti. E la resurrezione fece rinascere in loro – lo abbiamo ascoltato nella Prima Lettura – il coraggio, la voglia, la forza per comunicarlo:

“E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti” (At 10,42) Come a dire che nella Sua persona si giudica la storia, tutto: presente, passato e futuro è come se fossero scorsi dentro il filtro della passione, morte e resurrezione del Signore Gesù.

A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome” (At 10,43)

Chiunque si fida di Lui viene ricollegato in questa armonia, in questa amicizia di Dio!

Siamo nell’Anno della misericordia e Pasqua ce ne dice la forza.

  • La resurrezione ravviva la nostra vita e la nostra speranza

 

La resurrezione ravvivò la fiducia, ravvivò la vita. Non la rese più facile agli apostoli, anzi, quando si misero ad annunciare Gesù morto e risorto aumentarono per loro difficoltà e persecuzioni, come continua ad essere per tutti i missionari del Vangelo, ma l’essere stati testimoni, l’averlo visto risorto, l’averlo toccato, l’aver mangiato con Lui dava loro la forza di farlo con tutto se stessi. A rischio della propria vita, senza paura di perderla, perché avevano sperimentato che quel modo di vivere di Gesù, finito sulla croce e sconfitto dal male, in realtà vinceva anche la morte.

Lo abbiamo sentito nella Seconda Lettura, nel brano molto breve tratto dalla Lettera di Paolo ai Colossesi, quando l’apostolo dice ai cristiani:

“Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!” (Col 3,3)

Ecco cosa vuol dire appartenergli!

E allora se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio. Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra(At 3, 1)

Quando Paolo dice queste cose parla del nostro appartenere a Dio, della vita divina che ormai è dentro di noi, nella quale siamo innestati, ma non è per portare gli uomini sulle nuvole o su pensieri astratti; non è per essere fuori della storia. E’, semmai, perché rivedendo la storia anche umana di Gesù, le sue parole, i suoi insegnamenti, il suo modo di vivere, ci rendiamo conto che essi sono “le cose di lassù” che Egli ci ha comunicato.

Il suo modo di vivere è umanissimo, ma nasce dal modo di amare di Dio. E allora “cercare le cose di lassù” significa – non credo di forzare il testo – guardare quello che Gesù ci ha insegnato quaggiù.

Tre segni della signoria di Cristo nella storia e nel tempo

Vorrei, per questo, offrirvi tre punti, partendo dalle cose che vediamo e che sono qui tra noi:

Il grande Crocifisso, bello, con il Cristo Signore della storia, ma all’interno della croce; il cero pasquale acceso questa notta. E infine il nostro altare, grande, all’interno del presbiterio, forte come una roccia di fondamento.

Il Crocifisso

Perché il Crocifisso? Perché anche nel giorno della resurrezione è bene che lo ricordiamo! Il mistero, infatti, unisce le due realtà: lì sulla croce vediamo il Cristo vincitore, ma ci vediamo anche tutto il dolore da Lui portato. Ci vediamo il suo rimanere dentro la storia: Egli infatti appare ai suoi risorto, portando i segni della passione.

Dalla croce non solo possiamo imparare quel Suo modo di vivere, ma ad essa possiamo portare anche tutte le cose che ci fa fatica vivere: il dolore, l’ingiustizia, il male che è in noi, la paura che ci opprime, i rischi che vediamo in giro, la malvagità che talvolta prende il sopravvento. Possiamo guardare tutto lì, non solo deporre tutto ai piedi della croce, ma guardando al Cristo sentirci portati da Lui.

“Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori (….)per le sue piaghe noi siamo stati guariti.” (Is 53,4.5)

Siamo stati salvati dal suo modo di vivere, di cui la croce fu il culmine.

Il cero pasquale

Stanotte abbiamo attraversato la Cattedrale, tutta spenta, alla luce di questa piccola fiammella, perché davvero basta anche una piccola fiammella per dire che il buio non vince tutto. Basta un gesto di bene, basta una vita donata come ha fatto Gesù, per continuare ad avere fiducia.

Un giorno parlando di queste cose Gesù disse:se il chicco di grano, caduto in terra, muore, produce molto frutto” (cfr Gv 12, 24)

Guardare alla croce, Cristo che porta le nostre fatiche, e al cero che dice la Sua vittoria sul buio e sulla morte, sostiene il nostro impegno, la nostra speranza, anche in questi tempi difficili, in ogni ambito: da quello personale a quello familiare, alla nostra società, al mondo.

La croce e il cero sostengono la speranza e l’investimento della nostra vita. Chi vuol essere discepolo di Gesù scelga di vivere alla maniera sua, anche se questa strada alcune volte diventa stretta o si fa tagliente, perché è difficile, ma questa strada – che può arrivare perfino a far dare la vita – se è unita a Cristo porta alla vittoria.

Abbiamo bisogno tutti, in particolare in questi tempi, di ravvivarci in questa speranza e nella fiducia nel bene: che sia un piccolo gesto quotidiano o che siano scelte importante su cui impostare la nostra esistenza.

Domandiamoci su cosa stiamo impostando personalmente la nostra vita e su cosa la sta impostando la società e cosa abbiamo da dire noi a questo mondo, che sembra abbia scelto altro e appare come svuotato di senso, impaurito, con forme di rabbia e di violenza che sembrano prevalere…

Noi cristiani, non dispensati da queste fatiche, ma con un seme di fiducia dentro, dobbiamo cercare di continuare a rimanere fedeli a questo stile che viene dalla risurrezione, offrendone segni in famiglia, nel lavoro, nella società, nel farci carico, nel guardare le situazioni e prendercene cura, occuparcene.

L’altare

C’è, infine, il terzo segno, affinché queste cose non sembrino solo belle esortazioni, o dovere e basta, di fronte al quale talvolta ci sentiamo inadeguati o incapaci. Il terzo segno è l’altare, per quello che su di esso ogni giorno compiamo.

Il pane, corpo di Cristo; il vino, sangue della nuova alleanza.

Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta”. (cfr Preghiera eucaristica V)

Celebrando l’Eucaristia, la morte e la resurrezione di Gesù diventano vita della nostra vita, come il pane che dà sostegno al corpo, che fa vivere e come il vino che rallegra.

L’Eucaristia che noi celebriamo è la continua partecipazione di Gesù alla nostra storia: “Io sono con voi tutti i giorni” (cfr Mt 28,20).

E’, allora, importante che ci avviciniamo a questo segno-sacramento che è l’Eucaristia!

E’ lì che la vita, continuamente, giorno dopo giorno, ci viene donata.

Il calvario è un momento, la resurrezione è un momento, l’Eucaristia è la continuità della partecipazione di Dio alla nostra vita, alla nostra storia, ai momenti della nostra personale esistenza. Ognuno ci può mettere le sue speranze, i suoi desideri, i suoi impegni, le sue fatiche.

Ecco, fratelli, vorrei che gli auguri e anche questo momento che viviamo insieme ci facciano sentire la vera partecipazione di Dio alla nostra vita, ci facciano sentire portati, guardando al Crocifisso; ci facciano sentire confermati, impegnati e aperti alla speranza, guardando al cero pasquale; ci facciano sentire aiutati, condivisi nelle nostre fatiche e arricchiti del dono di vita che Gesù ci fa ogni volta che ci accostiamo al sacramento dell’Eucaristia.

Sono realtà della fede, ma se entrano davvero dentro di noi, quanti frutti!

Nello stile di Gesù, indicatoci dal Vangelo e di cui vediamo esserci bisogno nel mondo per portare qualcosa di nuovo e che talvolta anche per noi è difficile.

La Pasqua, dal cuore di ognuno, ci ravvivi in questi dono e ci sostenga!

Sia lodato Gesù Cristo!

+Rodolfo, vescovo

 

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