Omelia nella Messa di ordinazione diaconale di fr. Luca Bruno, Ofm capp.

Padre Provinciale,

caro fr. Luca,

fratelli e sorelle,

riflettiamo, illuminati dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato, sul sacramento che stiamo celebrando. Con l‘imposizione delle mani del vescovo e con la preghiera, Luca viene consacrato-ordinato diacono nella Chiesa di Dio, al servizio del popolo cristiano.

Segno concreto di questo servizio è la consegna del Vangelo. E’ il primo, indispensabile servizio che si aspetta da te il popolo cristiano! Ci insegna l’Evangelii Gaudium: L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria” (n.200). E questa attenzione consiste prima di tutto nel condividere la Parola di Dio che non trascura le vedove e gli orfani, condividendo con loro anche il pane materiale (At 6).

Il Vangelo di oggi ci fa incontrare una davvero singolare parabola. Tutte le parabole sono paradossali, contengono cioè un paradosso, un insegnamento che va ben al di là dell’umana sapienza e prudenza: esse ci rivelano il modo di comportarsi di Dio (il regno dei cieli è simile…), la parabola non è un insegnamento morale (come terminano le favolette di Esopo e di Fedro), ma una rivelazione.

E che cosa ci rivela la parabola di stasera? Che la carità, nelle sue molteplici realizzazioni, è la condizione essenziale per la nostra salvezza. Lo ricordiamo così: avevo fame, avevo sete… mi avete soccorso….non mi avete soccorso. Questo lo impariamo dalla Parola di Dio.

Non potremo accusare il ricco epulone di reati: non si dice che era un ladro; non si dice che abbia maltrattato Lazzaro: non lo ha neanche visto, occupato com’era a banchettare splendidamente.

Quasi incomprensibile poi la richiesta al padre Abramo di inviare Lazzaro ad ammonire i fratelli perchè non facciano la stessa fine… I danni desiderano che anche altri vadano all’inferno! (Ricordiamo Dante: maestro Adamo, canto XXX dell’Inferno).

E altrettanto singolare è la risposta del padre Abramo:

 “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. (…) Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (cfr Lc 16,31)

Espressione anche questa paradossale, per noi che fondiamo la nostra fede sulla resurrezione di Gesù, ma annunciata e vissuta attraverso le Scritture… ricordiamo i discepoli di Emmaus. Il ricco epulone sarebbe tornato a morire, come Lazzaro, come il figlio della vedova di Naim; solo Gesù è il risorto e la morte non ha più nessun potere su di lui, come ci insegna la lettera ai Romani (cap. 6).

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Stasera, caro Luca, Mosè e i profeti, cioè la Scrittura, viene consegnata nelle tue mani. Questo gesto è accompagnato da un invito quanto mai impegnativo: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni.

Questo è il primo, insostituibile servizio che la Chiesa si aspetta da te. Certamente la Scrittura è della Chiesa, non tua, non del vescovo, ma di tutta la Chiesa!

Ti viene consegnato l’Evangeliario, ma dobbiamo guardare al significato più profondo di questo gesto: sei tu che vieni consegnato alla Parola evangelica. Si realizza anche per te quello che dice Paolo agli anziani di Efeso nello struggente addio a Mileto: “Ora vi affido a Dio e alla Parola della sua grazia”.

La liturgia, la grande, insostituibile maestra della vita cristiana, te lo insegna. Rifletti a quanto compirai quando proclamerai il vangelo nella Messa. E anche noi riflettiamo insieme a Luca.

Chiederai, prima di tutto, la benedizione al celebrante come segno di quel mandato che hai ricevuto, accompagnata dalle significative parole: “Il Signore sia nel tuo cuore e nelle tue labbra, perché tu possa annunziare degnamente il suo Vangelo”. Queste parole, che riecheggiano il profeta Isaia, ti insegnano chiaramente che questa parola non è tua, che deve entrare nel tuo cuore, nel tuo io più profondo, perchè tu possa davvero annunciarla, non semplicemente leggerla. Mi vengono in mente i dottori della legge, che dettero una risposta tecnica, esatta ad Erode, senza però – almeno così sembra – sentirsene coinvolti (cfr Mt 2,5).

Il libro del Vangelo è accompagnato da candele accese, per non dimenticare che lampada ai miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino (Sal 119).

Poi ti rivolgerai ai fedeli, che insieme con te celebrano la santa Eucaristia, che avvertano la presenza del Signore nella sua Parola: Il Signore sia con voi! Ricordando anche le belle parole della Dei Verbum: “Dio Padre parla sempre con la Sposa del suo diletto Figlio”. La Parola, infatti, è rivolta a tutto il popolo cristiano.

Poi, quasi accarezzando l’evangeliario, lo segnerai con la croce e segnerai te stesso, insieme al popolo, chiedendo che il tuo cuore, la tua mente, la tua parola, cioè tutto te stesso, sia come riempito di quella Parola, quasi ripetendo con il profeta Isaia: “Ecco manda me” (Is 6,8) e con il profeta Geremia, quando questa parola diventa difficile: <Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!>. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”. (Ger 20, 9). E impegnarsi con il padre san Francesco per una proclamazione sine glossa, senza cioè quell’atteggiamento della sapienza umana che pretende di saperne di più di quella del Vangelo. Ricordiamo quanto ci insegna Evangelii Gaudium: “La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cfr Mc 4,26-29). La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi”. (n 22).

Infine, terminata la proclamazione, riaffermandone l’origine divina (Parola del Signore), bacerai l’evangeliario dicendo sottovoce: la parola del Vangelo cancelli i nostri peccati. Quella parola si è fatta carne (prologo di Giovanni) ed è diventata pace e riconciliazione nostra. Di questa pace e riconciliazione tu possa essere sempre un convinto testimone, dopo averne fatto una gioiosa esperienza.

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La famiglia francescana inizia oggi la novena in preparazione alla festa del padre san Francesco, di questo stupendo diacono che ha amato e servito le fragranti parole del Signore Gesù (cfr Lettera a tutti i fedeli). Le Costituzioni dell’Ordine cappuccino insegnano: “Perseveriamo dunque nella lode di Dio e nella meditazione della sua Parola per essere sempre più ardenti nel desiderare che gli uomini, anche per mezzo della nostra azione, vengano attratti ad amare Dio con gioia” (n. 15 §5). E ancora: “Per raggiungere questo scopo, impegniamoci a progredire continuamente nella sapienza di Cristo, che si acquista soprattutto vivendola, e questo specialmente con la lettura assidua, la meditazione e lo studio approfondito delle Sacre Scritture” (n.150 §5).

Caro fr. Luca, la liturgia ci insegna a pregare perchè il dono ricevuto ci prepari a riceverlo ancora. Quanto hai promesso a Dio nel giorno della tua professione religiosa stasera ti viene come restituito, arricchito dal sacramento dell’Ordine.

Coraggio, fatti animo figlio mio, il ministero episcopale mi autorizza ad usare questa parola: figlio, ma la mia voce vuol far risuonare la voce del tuo babbo Giuseppe, che da pochi mesi ha terminato il suo cammino terreno, perchè certamente anche lui ti incoraggia e ti benedice. E tutti noi, vescovo, frati, sacerdoti, terziari e giovani della Gifra e tutto il popolo cristiano ti rivolgiamo i nostri auguri con le parole del padre san Francesco: “se osserverai queste cose sii ricolmo in cielo della benedizione dell’Altissimo Padre e in terra sii ricolmo della benedizione del suo figlio diletto con il santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi”. Amen

+Giovanni

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