Pasqua 2024

Omelia nella solenne veglia pasquale

dalla Cattedrale di Grosseto, 31 marzo 2024

“Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa!”

Le abbiamo appena cantate, queste parole del preconio pasquale, che ci esortano a unirci alla gioia di tutti i credenti e ad allargare le pareti di questa cattedrale per gioire insieme a tutto il popolo cristiano e vivere insieme le parole di Paolo:
“Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto: che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Pietro e ai dodici” (cfr 1Cor 15,3-4)

Lo sappiamo, fratelli: la resurrezione, questa vita nuova, non è la reviviscenza di un cadavere – Lazzaro e il figlio della vedova di Nain torneranno a morire – ; è però la base di tutto il cristianesimo ed è il primo annuncio che Pietro rivolgerà ai cittadini di Gerusalemme: “Quel Gesù che voi avete crocifisso, Dio lo ha risuscitato” (cfr At 2,32)

In questa frase c’è tutto il cristianesimo; se questa è vera, è vero tutto il cristianesimo; se essa non è vera, di tutto il resto potremmo farne tranquillamente a meno.

Lasciamoci, allora, prendere per mano dalla Liturgia e lasciamoci condurre ancora una volta come dei neofiti, dentro il mistero che stiamo celebrando, che non significa “cosa incomprensibile”, ma disegno di Dio, progetto per noi e per il mondo intero. Progetto talmente grande, che è impossibile per noi comprenderlo fino in fondo nella sua interezza; per questo lo diciamo misterioso. E’ un mistero che affascina e che riempie il cuore e la vita, che non schiaccia né umilia anche se è incomprensibile, perché – appunto – “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie” (cfr Is 55,8)
Abbiamo ascoltato il racconto della creazione del mondo, certamente non come una cronaca scientifica dell’evento, ma come un racconto sapienziale, che ci introduce nel disegno di Dio, che creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina lo creò (cfr Gen 1,27): questo è ciò che crediamo. Allora per trovare e capire l’uomo è necessario guardare verso Dio e per poter parlare di Dio è necessario partire dall’uomo, poiché quelle immagini si richiamano. In Gesù queste due immagini trovano la loro perfetta sintesi, in Lui il disegno divino si realizza in pieno; Lui è l’alfa e l’omega, abbiamo detto benedicendo il cero pasquale, è il principio e la fine; a Lui appartengono il tempo e la storia.

La liturgia, prendendoci ancora per mano, ci conduce attraverso la strada che Dio stesso percorre con noi. Abbiamo ascoltato l’alleanza con Abramo e ci viene chiesto/proposto di fidarci di Lui, perché essa contiene la promessa che “in te saranno benedetti tutti i popoli della terra (cfr Gen 12,1-3) quindi anche noi. La liberazione dalla schiavitù d’Egitto è segno e annuncio di un’altra librazione: di ogni dominio dell’uomo sull’uomo, di un popolo su un altro; segno anche di una libertà che ogni uomo deve avere rispettando e accogliendo quella dell’altro. La voce dei profeti, poi, annuncia una nuova alleanza, un’alleanza per tutti: venite all’acqua voi che non avete denaro (cfr Is 55,1). Come un’alleanza nuova, come un intimo patto matrimoniale e non più come tra un sovrano e un vassallo. La storia dell’uomo è quella che è; tante volte è storia di peccato, di violenza – quella dei giorni che stiamo vivendo, anche – ma Lui rinnoverà l’alleanza scrivendola nel cuore dell’uomo: Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo (cfr Ez 36,26). Dobbiamo crederci a questo: non sono belle parole auto consolatorie, ma sono la promessa di Dio. A noi spalancare il cuore perché Dio lo rinnovi e ci faccia vedere la necessità di averlo davvero nuovo, per poter vivere in maniera valida, umana. È stato detto che a questo mondo ci stiamo tanto poco e che facciamo di tutto per starci male…odiandoci, violenza contro violenza… ecc… non c’è bisogno di fare grandi richiami alla cronaca. Ma noi dobbiamo continuare a sperare, cioè a credere, ma credere “sempre pronti a chi domandi ragione della speranza che è in voi” (cfr 1Pt 3,15). La nostra speranza non è uno pronostico felice, un desiderio bello… Ha un nome e un volto: si chiama Gesù, che non nasce improvvisamente, ma al termine di un lungo cammino che l’Antico Testamento ci fa compiere. Lo Spirito santo effuso nei nostri cuori e coscienze, mantiene viva questa speranza, purificandola e insegnandoci una cosa importante: a sperare in Dio piuttosto che sperare qualcosa da Dio. Imparare, cioè, a fidarsi di Dio. Non è certo sbagliato chiedere e quindi sperare i beni necessari per la vita, ma prima di tutto dobbiamo rivolgerci al Padre che è nei cieli, all’Altissimo onnipotente bon Signore, per chiedere che venga il Suo regno e sia fatta la Sua volontà. È questa la speranza pasquale, è questo che auguro a tutti voi: non è una illusione, ma perché essa avvenga dobbiamo saper rendere ragione. Credere che Gesù è la nostra speranza, significa imitarne la vita, per quello che è possibile, i gesti, le intenzioni, le scelte. È quello che Lui stesso ci ha detto nel Vangelo: se mi amate osserverete i miei comandamenti (cfr Gv 14,15).

È quello che auguro a voi e chiedo a voi di augurarlo a me.

Ora ci rechiamo alla fonte di questa promessa di Gesù, al battistero. La notte di Pasqua ha questo centro: dopo la benedizione del cero pasquale, quella del fonte battesimale, per rinnovare lì il nostro battesimo riproponendoci quelle promesse fatte a nome nostro dai nostri genitori il giorno in cui siamo divenuti cristiani e ripetute chissà quante volte nella nostra vita. Facciamolo con cuore aperto anche stasera.

Buona Pasqua, fratelli e sorelle!

+Giovanni

(da registrazione)

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