Omelia nella solennità di San Giuseppe

Bentrovati a tutti voi!

Celebriamo una festa, alle soglie della settimana santa, che potrebbe apparire fuori contesto: si parla di Gesù bambino mentre domenica prossima ricorderemo le Palme. Attenti però: alla liturgia interessa la persona di Gesù, non la sua cronologia. Certo, quest’ultima esiste perchè Gesù è stato bambino, poi giovane, adulto…ma la liturgia non celebra questi momenti come essenziali, ma la persona di Cristo in ogni istante della sua vita terrena.

Prendiamo allora due pensieri su quanto stiamo celebrando.

Il primo viene dal Vangelo secondo Matteo. Se andate a controllare – un Vangelo a casa lo abbiamo tutti – Matteo inizia con la genealogia di Gesù Cristo “figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda” ecc… fino alle parole che abbiamo proclamato stasera: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” (Mt 1,16)

Verrebbe da dire, tenendo presente quel testo: Giuseppe generò Gesù. No, non è cosi, lo sappiamo, perché il Signore, uomo come noi, è figlio di Dio nel senso più profondo e letterale di questa espressione. In ogni nostra celebrazione, pertanto, al centro c’è Gesù. Qualunque festa celebriamo, qualsiasi santo ricordiamo – oggi Giuseppe patrono della Chiesa, primo dei santi dopo la Madonna – celebriamo sempre Gesù Signore, nella sua realtà umana, nella carne identica alla mia e alla vostra, e in Lui anche coloro che – se mi passate questa espressione – hanno avuto a che fare con la sua persona in maniera profonda, che ne hanno custodito la vita, lo hanno fatto crescere, gli hanno dato un’educazione e insegnato tutto ciò che anche Gesù, come uomo, aveva bisogno di imparare. L’umanità di Cristo attraverso l’umanità di Maria, di Giuseppe, degli apostoli, dei primi cristiani fino ad arrivare a noi.
Ecco il senso profondo di ciò che stiamo celebrando.

Il secondo aspetto che vorrei sottolineare lo riprendo dalla preghiera di colletta, dove abbiamo chiesto a Dio che la Chiesa, cioè noi, cooperi alla Sua opera di salvezza. Allora celebrare i santi, ascoltare insieme la Scrittura, condividere l’Eucaristia sono tutti gesti che contribuiscono a edificare la Chiesa. Edificare è un verbo che indica un lavoro manuale, ma che possiamo traslare sul piano spirituale. Come in ogni edificio c’è un fondamento, così nella Chiesa: il fondamento è Cristo. E’ Lui la pietra angolare che regge tutta la costruzione ben ordinata. Poi ci sono le pareti e nella Chiesa esse sono il sacramento dell’Ordine e il sacramento del matrimonio. Dentro le pareti, infine, ci sono tanti doni di Dio, tanti carismi che edificano la Chiesa, come nella casa ci sono tante cose che la rendono preziosa, bella, vivibile. Se questi carismi non fossero custoditi dalle due pareti portanti andrebbero persi, come in casa: senza muri, ciò che c’è dentro sarebbe depredabile. Infine il tetto, che è la vita eterna: “di nuovo tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti”, proclamiamo nella professione di fede.
Costruire la Chiesa, allora, deve partire da questo. Qual è il compito, il carisma che Dio benedetto ha dato a ciascuno di noi? Chiediamocelo. E siccome tutto contribuisce alla edificazione della Chiesa, nessuno di noi è inutile, nessuno di noi non ha da fare qualcosa o da essere costruttore della Chiesa.

E’ la lezione da prendere da san Giuseppe, uomo vissuto nell’ombra, un’ombra – se volete – meravigliosa, ma pur sempre nell’ombra; quest’uomo che dopo poche pagine di Vangelo sparisce. Gli abitanti di Nazareth se lo ricordano: “Ma non è il figlio di Giuseppe?” si chiedono quando Gesù inizia la sua vita pubblica. Forse Giuseppe era già defunto e aveva già terminato la “costruzione” della Chiesa che Dio gli aveva affidato. Ecco perché san Giuseppe viene invocato dagli agonizzanti: guardando a lui, che ha fatto il suo compito fino in fondo, anche noi, al termine del nostro cammino, chiediamo a lui che ci accompagni verso il Signore.
E’ anche così che sentiamo i santi vicini, amati, persone come noi, che hanno svolto con fedeltà il compito loro assegnato da Dio e li onoriamo, perché, fratelli nella fede, hanno edificato la Chiesa.

Avviandomi a concludere, colgo questa occasione per anticipare a voi tutti gli auguri di buona Pasqua. Che il Signore conceda a me e a voi di celebrarla con fede, con gioia, portando nella nostra vita il segno evangelico della serenità e della pace, di cui c’è tanto bisogno. Stamani in piazza Duomo, assieme a tante autorità, ho assistito alla scopritura dell’auto su cui morirono Falcone e la sua scorta a Capaci. C’era anche la vedova di uno di quegli agenti uccisi in quel terribile attentato e la signora ha reso una testimonianza molto bella: “non dimentichiamo e continuiamo a camminare”.
Riprendo quelle parole: non dimentichiamo il Signore, san Giuseppe, Maria, i nostri affetti e continuiamo a camminare con Lui. Fare Pasqua vuol dire anche questo.

+Giovanni

(da registrazione)

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