Omelia per le ordinazioni presbiterali e diaconale

Cattedrale di Grosseto, 26 novembre 2023-solennità di Cristo re

Caro vescovo Rodolfo e voi tutti fratelli e sorelle,

benvenuti di nuovo in questa chiesa cattedrale per partecipare ad un evento sacramentale, che segnerà per sempre la vita di Simone, di Claudio e di Alessandro. Allora, con profonda gratitudine al Signore e grande gioia mia, vostra e di tutta la Chiesa grossetana e di Pitigliano qui rappresentata, uniamo il saluto al Seminario di Firenze, al Collegio San Carlo, ai Frati cappuccini e a tanti altri che sono convenuti qui insieme con noi.

Vogliamo inserire questa nostra celebrazione nella grande celebrazione della Chiesa: la solennità di Cristo Re, per respirare insieme con tutta la Chiesa. Siamo alla fine dell’anno liturgico e la stessa liturgia ci invita ad alzare lo sguardo verso colui che tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il cui regno non avrà fine. Celebriamo oggi la ricapitolazione di tutte le cose: quelle del cielo come quelle della terra, come si esprime la lettera agli Efesini (cfr Ef 1,10) tenendo ben presenti le parole della veglia pasquale, la madre di tutte le veglie, da cui scaturisce tutta la liturgia cristiana. Quando viene acceso il cero pasquale, il celebrante dice: Cristo ieri e oggi, principio e fine, alfa e omega. A lui appartengono il tempo e i secoli. A lui la gloria e il potere per tutti i secoli, in eterno. Amen.

È quanto oggi, facendo eco alla solennità pasquale, noi celebriamo.

Però una vera contemplazione non può essere solo proiettata verso il futuro, dimenticando il momento presente, poiché “il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17,21). Noi non celebriamo un regno futuro, che sarà la pienezza, ma il regno di Dio è già in mezzo a noi. Non possiamo attendere il ritorno del Signore oziosi – il Vangelo proclamato oggi ce lo insegna, assieme alla parabola dei talenti proclamata domenica scorsa – ; vogliamo, invece, con la grazia di Dio, diventare come lo scriba divenuto discepolo, secondo l’immagine di Matteo, che “sa trarre dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (cfr Mt 13,52). Cari ordinandi, è a questa immagine di san Matteo che vorrei confrontare il ministero che ora voi ricevete.

Caro Alessandro, tu vieni costituito servo di questo regno e venite costituiti presbiteri, Claudio e Simone, cioè anziani, anzi più anziani. Lo sappiamo bene tutti che questo termine non si riferisce all’età naturale, ma nella tradizione biblica si riferisce a quella sapienza che deriva dalla consuetudine e familiarità con la Parola di Dio, per cui il salmista può dire: ho più senno degli anziani, perché ascolto la tua Parola. Questa familiarità per noi può essere tradotta nella fedeltà quotidiana alla Liturgia delle Ore: i salmi, la Scrittura, l’insegnamento della Chiesa che ci accompagnano e devono renderci anziani, cioè esperti, nel governare, nel reggere, nel servire il popolo di Dio.
Siamo costituiti servi di questo regno, ma per essere tali dobbiamo essere felicemente consapevoli di esserne membri e cittadini. Il battesimo e la cresima ci hanno inserito tutti come cittadini autentici, poi la Provvidenza di Dio ha chiesto a me e a voi un servizio particolare: quello ministeriale del vescovo, del prete, del diacono.

La Parola ci insegna, per questo, ha scoprire il regno di Dio in mezzo a noi.

Permettete che interroghiamo il Maestro e Signore, perchè da Lui impariamo a sentirci parte ed eredi di questo regno.
Ricordate: il regno di Dio è simile a un granello di senape; è come un po’ di lievito, che sviluppa tutta la pasta; si sviluppa e cresce in maniera quasi invisibile, senza attirare l’attenzione del mondo. Si espande non per conquista, come i regni umani, ma per la forza dello Spirito, che forma le coscienze dei credenti. Il nostro ministero, allora, deve saper discernere la presenza dello Spirito – senape e lievito, appunto – e servire la Sua presenza.

Il regno di Dio è come un tesoro nascosto nel campo; è come una perla preziosa: richiede da parte nostra una decisione per tutta la vita.
Tra poco, cari fratelli, vi domanderò se vorrete, per tutta la vita, esercitare il ministero che ora vi viene affidato: per tutta la vita!

Nel tempo del pensiero debole, del momento fugace e anche della paura del domani, può sembrare una promessa presuntuosa, può sembrare troppo, ma noi confidiamo che, rimanendo uniti al Maestro come i tralci alla vite, porteremo frutto.
Allora coraggio! Mentre lo dico a voi, rinnovo in me stesso questa disponibilità per tutta la vita e prego ogni sacerdote di rispondere dentro di sé il proprio sì.

Il regno dei cieli è simile a un seminatore che sparge il suo seme con larghezza; Il regno dei cieli è simile a un padre di famiglia, che invita operai nella sua vigna a tutte le ore del giorno. Ora venite costituiti amministratori di questa multiforme grazia di Dio, sparsa con abbondanza e con generosità e per questo vi chiederò se volete, insieme con noi, implorare la divina misericordia per il popolo a voi affidato, dedicandovi assiduamente alla preghiera, perché solo con essa capirete il momento favorevole, l’ora giusta per invitare a partecipare al regno.

Nel sacramento della riconciliazione celebrerete questo seme sparso con tanta larghezza, celebrerete il padre di famiglia che chiama a tutte le ore e ricompensa con la stessa misura tutti i chiamati.

Il regno dei cieli è simile a un padrone che regola i conti coi suoi debitori; è simile a un sovrano, che affida talenti ai suoi servi; è simile a un re che con un grande banchetto vuol celebrare le nozze di suo figlio. È simile a dieci vergini che attendono l’arrivo dello sposo.

Il regno dei cieli richiede una responsabilità e anche un giudizio: non lo dimentichiamo! “Verrà a giudicare i vivi e i morti”, è la nostra Professione di fede. Il Vangelo oggi proclamato ci insegna il criterio, se vogliamo chiamarlo così, utilizzato in questo giudizio: riconoscere il Signore Gesù. E questo è possibile fin dalla prima ora, così come è possibile all’ultimo momento della vita terrena: “sarai con me in paradiso”, dirà Gesù al ladrone pentito. Quindi il nostro ministero deve mettersi in ascolto di questo futuro giudizio, per poter portare coloro che accolgono la fede, farli camminare e, con fiducia, attendere il giudizio di Dio, che è il giudizio di salvezza: vieni servo buono e fedele! (cfr Mt 25,21)

Su una parabola particolare vi prego, ora, di fermare la vostra attenzione. Il regno dei cieli è simile a un uomo che semina buon grano nel suo campo, mentre il nemico vi semina la zizzania (cfr Mat 13, 24 e seg.) Anche questa situazione finirà con il giudizio di Dio, dice Gesù, ma nel cammino della vita grano e zizzania convivono. E’ un mistero grosso, ma è così. Il padrone non vuole che i servi strappino la zizzania, per non correre il pericolo di strappare anche il buon grano: è la storia umana, fratelli e sorelle, intessuta quasi inestricabilmente di bene e di male, di pagine gloriose e di pagine meschine e tragiche. Non significa una stanca rassegnazione, un arrendersi, un rinunciare all’impegno, perché tanto il bene e il male ci saranno sempre… e allora tiriamo a campare… No, non è così! Noi dobbiamo prenderci cura, dice Evangelii gaudium, del grano – cioè del bene – e non perdere la pace a causa della zizzania, che va riconosciuta per quello che è, ma senza perdere la pace interiore. Lo chiedo a voi tutti sacerdoti, lo chiedo a me stesso, lo chiedo a voi tre.

“Trova il modo di far si che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita anche imperfetti e incompiuti. Il discepolo sa giocarsi la vita intera e giocarla fino al martirio come testimonianza di Gesù Cristo, però il suo sogno non è di riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice” (E.G. n. 24)

La Chiesa è l’immenso popolo di Dio di ogni lingua popolo e nazione; popolo radunato e convocato dalla Parola di Dio, che tra poco ti verrà consegnata, caro Alessandro, perché tu possa insegnare ciò che hai appreso nella fede. La Parola di Dio è di Dio, appunto, ma dovrai dirla tu. Per questo, con tanta premura spirituale, con un timor di Dio veramente sentito, questa parola ti insegna a distinguere il buon grano dalla zizzania.
E se la Chiesa è l’immenso popolo di Dio, cari Claudio e Simone, allora quanta sapienza, quanta pazienza, quanta capacità di discernimento fra la zizzania e il grano vi viene chiesta, perché ognuno si senta compreso, invitato, accolto e non abbandonato alla zizzania stessa! E questa accoglienza e annuncio evangelico raggiunge il suo vertice nella celebrazione eucaristica, che da stasera in poi rappresenterà il punto fermo della vostra vita. In quella Eucaristia dove, secondo una felice espressione di Tertulliano, la carne dell’uomo e la carne di Dio si incontrano. E poi nel sacramento della riconciliazione, dove il sangue versato per la remissione dei peccati, diventa concreto evento di salvezza per colui che in quel momento sta chiedendo perdono.
Per questo vi chiederò se volete celebrare con devozione, secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione, perché questo rappresenterà lo scopo fondamentale ed essenziale della vostra vita di preti. Dovete poi coniugare questi due sacramenti nelle situazioni più diverse della vita, nelle circostanze talvolta imprevedibili, ma Eucaristia e Perdono restano il punto fermo del nostro ministero.

A tutti e tre auguro, allora, questo: che possiate ripetere con verità, per tutta la vostra vita, nell’apostolato spesso silenzioso e nascosto, le parole di san Paolo a Timoteo: so in chi ho posto la mia fiducia! E sono convinto che egli è capace d custodire fino a quel giorno, ciò che mi è affidato. (cfr 2Tm 1,13)

Coraggio, allora: Colui che ha iniziato in voi l’opera sua, la porti a compimento! E’ l’augurio di cui mi faccio portavoce a nome di tutto il popolo cristiano.

Amen

+Giovanni

(da registrazione)

condividi su