Pontificale del Vescovo nella Solennità del Natale

Carissimi tutti, buon Natale a ciascuno: dai bambini a voi adulti, ai sacerdoti, ai seminaristi.

Buon Natale con quella gioia nel nostro cuore che abbiamo sentito nella Prima Lettura, dove il profeta invita Gerusalemme a cantare, perché Dio ha consolato il suo popolo.

L’augurio è che ognuno trovi in questo giorno la vicinanza, la rassicurazione della sua fede, che ci da la forza di continuare, di rendere più intenso il nostro cammino di cristiani e la nostra vita, che nasce anch’essa dalla nostra fede, dalle nostre famiglie, dalle nostre relazioni di amicizia e di affetto.

Si racconta che quando san Francesco fece il primo presepe a Greccio e, dopo aver letto il brano del Vangelo, fece la predica, qualcuno vide – dice Tommaso da Celano – che quel Bambinello che aveva in mano e che era una statuetta, prendeva vita. Tommaso sottolinea che non era vero, ma una cosa era vera: “Per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria” (cfr. Fonti Francescane-Vita Prima di Tommaso da Celano cap. XXX)

Questa è l’occasione che ci dà ogni celebrazione e il Natale in particolare: che cioè si ravvivi quel senso bello della presenza di Dio nella nostra vita, così vicino come un bambino.

L’abbiamo sentito nell’antifona cantata all’inizio: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,5). Sentire Dio così, come una mamma sente il proprio bambino; sentire Dio così, come un babbo sente il proprio bambino: come un dono e come un impegno.

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Vorrei che questi auguri, questi desideri e questa preghiera fossero sostenuti prima di tutto dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.

Abbiamo sentito come concludeva il passo del Vangelo di Giovanni:

“Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito – che è Dio – che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”. (Gv 1,18)

E poco prima diceva:

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità”. (Gv 1,14)

Sono parole molto intense, quelle dell’evangelista Giovanni, che uniscono come in un ponte l’uomo e Dio, Dio e l’uomo, due estremi così distanti – “Nessuno ha mai visto Dio” – anche se nel cuore dell’uomo Dio ha posto questo desiderio di stare con Lui, di vederLo e vi ha posto la Sua stessa immagine, Eppure, anche se tutta la storia, il pensiero, la preghiera, il desiderio, le religioni esprimono questo desiderio di vedere Dio, “nessuno lo ha mai visto”, dice Giovanni. Anzi, la Bibbia dice – ed è forte la Scrittura in questo – che nessuno può vedere Dio, perché chi vede Dio muore. Quindi anche se il desiderio è grande e anche se siamo stati fatti – dice sant’Agostino – per Lui e per riempire il nostro cuore di Lui (cfr Le Confessioni I, 1,1) nessuno ha mai visto Dio, nessuno può vederlo.

Tutto questo ci dice la grandezza, ma al contempo anche la drammaticità: come se il nostro cuore ciò che più desidera non potesse mai realizzarlo. Di qui l’angoscia, la fatica dell’umanità di sempre.

Ma Dio ha infranto questo cristallo infinito di divisione!

E’ stato un lungo itinerario di avvicinamento, di promesse, di speranze. Lo abbiamo sentito nella Seconda Lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei:

“Dio, che nei tempi antichi molte volte e in diversi modi aveva già parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio che ha costituito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo” (Eb 1, 1-2)

Pensiamo a quel Bambino: Egli “è l’irradiazione della sua gloria” (Eb 1,3): la parola gloria è per dire tutto Dio che si manifesta. Egli è “impronta della sua sostanza e tutto sostiene con la potenza della sua parola” (ibidem)

Vorrei sottolineare di queste parole così dense due espressioni. La prima: “Ultimamente, in questi giorni”, come a dire che tutta la speranza, tutto il desiderio, tutta la storia hanno trovato un momento, vicino a quella persona che scrive, ma direi vicino a tutta l’umanità. San Paolo si riferirà al momento della incarnazione e della nascita di Gesù chiamandoli “la pienezza del tempo”.

“Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo figlio, nato da donna” (Gal 4, 4)

La pienezza del tempo! In questa espressione c’è come la proclamazione che la storia ha un senso, ha una direzione, è pensata da Dio come un itinerario di avvicinamento agli uomini anche dopo il peccato, anche dopo la distanza. E la storia è come uno spazio da colmare col Suo amore, con le Sue promesse, con la vicinanza della Sua parola attraverso i profeti e, finalmente, in questi giorni – pienezza del tempo – con la presenza del Suo Figlio.

Giovanni ce lo ripete nel suo prologo:

“Il Figlio che è nel seno del Padre, Egli ce lo ha rivelato” (Gv 1, 18)

Queste parole grandi, queste parole alte, trovano un incontro semplice, umile: lo ripete ancora Giovanni: “Si fece carne, venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14). Come uno di noi: bambino, adolescente, giovane, uomo; da Betlemme a Nazareth, dalla croce alla resurrezione. In quella realtà umanissima, uguale a noi, si è manifestata la gloria di Dio, il suo volersi comunicare, il suo donarci la vita, la sua stessa vita.

Ancora le parole di Giovanni:

“A coloro che l’hanno accolto – e non sono solo i pastori, perché l’apostolo parlava già ad una prima comunità di coloro che hanno ascoltato di Lui e lo hanno accolto, quindi anche a noi – ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12).

Allora e oggi!

Ripensiamo un attimo, allora, alla distanza colmata: dal “Nessuno ha mai visto Dio” (cfr Gv 1,18), perché chi vede Dio muore, alla possibilità invece che ci è data, attraverso Gesù, di diventare Figli Suoi.

E Giovanni lo ripete in una sua lettera dicendo: “E lo siamo realmente” (1Gv 3,1)

Fratelli, questo è il Natale! E’ il farsi vicino di Dio, col nome con cui era stato promesso: Emmanuele, Dio-con-noi; il suo assicurarci che la nostra umanità, così come è, gli appartiene, l’ha presa, la conosce, la fa sua, l’ha amata!

Ecco, noi celebriamo questo Natale e siamo qui per dire grazie al Signore di tutto ciò.

Quello che in questi giorni facciamo è cercare di avere dinanzi agli occhi e nel cuore la bellezza e l’umiltà dell’incarnazione e riconoscere in essa la bontà e la misericordia di Dio per noi: in quel Bambino, in quella carne come la nostra.

Anche il presepe che abbiamo realizzato in casa, nelle nostre chiese, nelle scuole, negli uffici; anche la festa esterna fatta di luci; anche gli auguri, gli amici, il pranzo, la Messa solenne sono per dire questa gioia, che diventerà ancora più bella, più profonda se, oltre tutto questo, ci sarà la capacità del nostro cuore di accoglierlo nel perdono, nella confessione, nell’eucaristia ricevuta, nel fargli casa.

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Da tutto questo non nascono solo la nostra fede e la nostra religiosità, ma anche la fiducia nel valore di ogni uomo, di ogni persona e quindi anche l’impegno perché ad ognuno sia riconosciuta la propria dignità, perché in ognuno c’è la bellezza di quell’uomo che Dio ha voluto che Suo Figlio diventasse.

Dio, dal momento dell’incarnazione, ci vede attraverso gli occhi del Suo Figlio, ci ama attraverso il cuore del Suo Figlio!

Al di là di questo modo di esprimersi, che è di fede, quante conseguenze se tutto ciò penetrasse nelle nostre convinzioni, nelle nostre scelte, nei nostri rapporti!

Dal momento dell’incarnazione, ogni uomo figlio di Dio; in ogni uomo il Suo Figlio!

E’ la ricchezza di sempre, di ogni Natale, di ogni giorno, ma quest’anno abbiamo la grazia di percepirlo ancora di più, proprio per l’Anno Santo straordinario della misericordia, che Papa Francesco ha voluto indire e che anche noi abbiamo iniziato aprendo la Porta Santa della Cattedrale.

Sentite come Papa Francesco inizia la Bolla di indizione di questo Anno Santo, proprio per sottolineare quanto sia legato al Natale e quanto il Natale ce lo possa far capire:

“Il volto della misericordia del Padre è Gesù Cristo. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth” (Misericordiae Vultus, par. 1)

Gesù Cristo e misericordia; misericordia e Gesù.

Essa è divenuta viva, visibile, ha raggiunto il suo culmine in Lui. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero di questa misericordia! San Francesco volle fare il primo presepe e anche noi lo facciamo, perché – diceva – “vorrei che vedeste con gli occhi della carne l’umiltà del Figlio di Dio”, il suo farsi vicino, il suo amore di misericordia. Perché essa “è fonte di gioia, di serenità, di pace” (M.V 2), quella che ci auguriamo, quella che chiediamo, ma che è dono, è ciò che Dio ha fatto. Essa “è condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della Santissima Trinità” (ibidem). Nessuno ha visto Dio, ma nel Suo Figlio, che è la Sua misericordia, si rivela il mistero della Santissima Trinità. Misericordia è l’ultimo e supremo atto con cui Dio ci viene incontro: “Ultimamente”, dice la lettera agli Ebrei (cfr Eb 1,1).

“Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando con occhi sinceri guarda il fratello che incontra nel cammino della vita” (M.V. 2) Quegli occhi sinceri che sono lo sguardo con cui Dio ci vede, limpidi, con cui vede, sì, i nostri limiti, ma scorge molto di più: vede il Figlio e sempre guarda a questa nostra realtà di figli.

La misericordia che riceviamo da Dio può aiutarci ad avere quegli stessi occhi con cui Dio ci vede per guardare, “misericordiosi come il Padre”, alla realtà: la nostra, prima di tutto, quella dei nostri familiari, dei vicini, dei lontani, la realtà di chi ci ha voluto bene e ci ha lasciato, la realtà di ogni persona. Guardare come guarda Dio: questa è la misericordia. E da questo sguardo far nascere – come ripete il Papa più volte nella sua Bolla – le opere di misericordia spirituali e corporali: da un’elemosina ad un atto di carità; da un sorriso al perdono, alla generosità.

Infine – e qui si ritorna al Natale – misericordia “è la vita che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato” (M.V. 2)

Dio ha riversato sull’umanità tutto quello che ha, tutto quello che è, perché ci rendiamo conto, attraverso questa vicinanza umile del Suo Figlio diventato uno di noi, quanto gli interessiamo, quanto valiamo davanti a Lui!

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Nel canto tipico di Natale, “Tu scendi dalle stelle”, diciamo: “Ah quanto ti costo l’averci amati!” e questo “più mi innamora”, dice Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.

Ecco, fratelli, l’augurio di Natale è attraverso queste parole: rivivere in noi la vita del Signore, percepire il suo sguardo e il suo amore più grandi di ogni nostra lontananza, di ogni peccato e percepirlo in una maniera vicina, possibile, che può penetrare in noi come l’ossigeno penetra i nostri polmoni e l’acqua penetra la terra e la rende di nuovo feconda. Sono immagini, ma è quello che nel più profondo Dio ha fatto per noi dandoci il Suo Figlio.

Che sia nel nostro cuore e ci aiuti a vivere bene non solo questa giornata, ma ciò che nasce da essa: il nostro esser figli e, se figli, dice san Paolo “anche eredi” (cfr Rm 8,17) e impegnati a rendere presente la nostra eredità, Dio, perché ciò che Egli fa per noi – perdono, misericordia, generosità, vicinanza, – lo assumiamo e diventi anche il nostro modo di essere.

Che sia un Natale in cui tutto questo ce lo diciamo in maniera semplice; un Natale in cui lo sentiamo e desideriamo renderlo pratico, attuale, attuabile nella nostra vita.

Che il Signore ci sostenga in questo e ci doni la gioia di poterlo fare.

Sia lodato Gesù Cristo!

+Rodolfo

 

 

 

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