Viaggio nei centri di ascolto parrocchiali: terza tappa l’Addolorata

La parrocchia Maria SS. Addolorata ha compiuto un lungo tragitto nella carità. Prima, con i padri gesuiti, che subito ebbero l’intuizione di mettere al centro il laicato, concentrandosi nel mettere in contatto i bisogni e le risorse della comunità. Quelle stesse persone, legate in una rete informale, hanno poi deciso che serviva darsi una struttura: nasce, così, il Centro di Ascolto.

Oggi ad animarlo ci sono 12 volontari e più di 45 famiglie, sostenute dalla comunità e da una rete articolata di attori che, in sinergia, forniscono assistenza e strumenti di sviluppo.

“Lavoriamo a stretto contatto con gli assistenti sociali, con agenzie di lavoro
interinale e alcune associazioni cittadine. Per gli alimenti, oltre al Banco Alimentare, collaboriamo con dei supermercati cittadini”
, spiegano i volontari. All’interno di questa rete sono coinvolti anche altri attori della parrocchia: la cooperativa Il Timone e la Casa della Carità. La prima con
l’obiettivo di agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro di soggetti vulnerabili e la seconda di sopperire all’emergenza abitativa. La Casa della Carità, con il supporto di tutta la comunità, ha ospitato, dal 2013 ad oggi, 15
famiglie, per periodi più o meno lunghi. Attualmente vi risiedono 3
nuclei familiari. La cooperativa Il Timone, nata nel 2010, promuove la cultura della solidarietà e il valore educativo del lavoro. Offre opportunità
occupazionali tramite “Il Fornino”, un panificio artigianale con vari punti vendita, e il progetto “In.Si.Eme”, che produce oggettistica, bomboniere e
ceramiche.

La povertà, intesa come situazione transitoria nella vita di chi fruisce dei servizi caritatevoli, è un elemento fondamentale dell’approccio del Centro di Ascolto: “Vogliamo dare questo messaggio: dalla povertà si può uscire, ne abbiamo conferma nel grande ricambio dei nostri utenti. Non risolvendo soltanto il bisogno particolare, ma prendendosi cura della situazione globale della famiglia si ottengono miglioramenti tangibili, che superano la
semplice assistenza”.

Il Centro di Ascolto, infatti, non è un ufficio, ma vuole essere, sempre di
più, espressione di una comunità viva e attenta: “Capita che le necessità
vengano condivise alla fine della Messa, o che i giovani della parrocchia diano il loro tempo per aiutarci
“, dicono i volontari. “Vogliamo essere sempre di più una “famiglia di famiglie”, non un centro di collocamento”.

La pandemia ha aggravato la situazione di tanti, che prima riuscivano a far quadrare i conti grazie a lavori stagionali e che ora si rivolgono alla Caritas per essere sostenuti nel pagamento di affitti e bollette: “Non ci siamo mai
fermati del tutto, anche se in primavera il nostro servizio si è dovuto limitare ai pacchi alimentari. Andando nelle case, però, abbiamo potuto
intercettare anche situazioni di disagio più complesse. Un’urgenza che
ci ha tristemente sorpreso è quella del caporalato, a cui sono particolarmente esposte persone straniere”.

Passare dal semplice bisogno alla complessità di una situazione famigliare e di vita è una scelta decisiva. Rete è, forse, semplicemente una declinazione di famiglia. Un luogo di cura, ma anche di crescita: quest’ultima, però, c’è
solo a patto di superare la soglia del bisogno, di trovare il modo di aprire nuovi orizzonti, nuovi capitoli per le storie delle persone.

(da “Toscana Oggi” del 24 gennaio 2021-servizio a cura di Giovanni Cerboni)

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