“Non ci arrendiamo. Siamo tribolati ma non schiacciati”.
Sono le parole di padre Ibrahim Alsabagh, frate francescano della Custodia di Terra Santa e parroco della comunità latina di Aleppo, la città siriana simbolo del martirio del popolo siriano. Parole affidate ad una lettera che il religioso ha inviato ai tanti amici e benefattori in Italia per raccontare i drammatici momenti che il popolo di Aleppo sta vivendo.
La Diocesi di Grosseto continua a voler tenere viva l’attenzione su quel dramma e a coltivare il legame di affetto e di fraternità iniziato ormai due anni fa con la parrocchia latina di Aleppo. Un rapporto che si è fatto amicizia, solidarietà fraterna, partecipazione.
Per questo, domenica 21 febbraio, la Diocesi accoglierà padre Firas Lutfi, anch’egli frate francescano della Custodia di Terra Santa, da novembre ad Aleppo. Il sacerdote era stato a Grosseto a novembre; ora ritorna per una due-giorni maremmana, che lo porterà, prima nella Diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello, poi nel capoluogo maremmano.
“Aleppo, quel che resta dei cristiani”, è il titolo dato alla giornata di testimonianza che il religioso offrirà alla comunità di Grosseto.
Il vescovo Rodolfo ha pensato fosse maggiormente efficace che padre Firas avesse più luoghi e occasioni diverse in cui raccontare il dramma e la sofferenza dei cristiani di Aleppo.
E così il sacerdote francescano domenica 21 febbraio sarà alle 10 nella parrocchia di Santa Lucia per concelebrare la Messa del fanciullo. Qui offrirà una sua prima testimonianza. Alle 11 sarà nella comunità del Cottolengo, per prendere parte alla Messa, anche in questo caso frequentata da molti bambini, ragazzi, giovani e dalle famiglie.
Nel pomeriggio un momento pubblico: alle 16, nell’auditorium parrocchiale della Addolorata, in via Papa Giovanni XXIII, nel quartiere Gorarella, padre Firas avrà ulteriormente modo di far conoscere la situazione della Siria e di Aleppo in particolare, per poi celebrare la Messa serale delle 18.
La situazione nella città siriana sta diventando sempre più drammatica. Come racconta padre Ibrahim nella sua lettera (scarica qui sotto il testo integrale), nella notte fra il 3 e il 4 febbraio due missili hanno colpito la zona di Soulaymanieh-Ram, dove è collocata la succursale della parrocchia. Aumentano, così, le case distrutte, le persone ferite, alcune morte. “La nostra chiesa, colpita in aprile, stavolta è stata risparmiata, mentre il missile caduto sulla succursale ha forato il tetto – scrive padre Ibrahim – colpendo la statua della Madonna, il campanile e alcuni depositi di acqua, nuovamente installati. La statua della Madonna è stata ridotta in mille pezzi e potete immaginare il nostro dolore: il volto della Vergine in frantumi in mezzo alla strada, oltraggiato”. Le esplosioni sono proseguite anche nei giorni scorsi e hanno colpito il quartiere cristiano di Midaan, moltissimi dei quali ora sono senza casa. I frati stanno distribuendo quel che hanno, ma la vera emergenza ora è l’acqua, che sta venendo a mancare e quella che c’è ha costi proibitivi.
Lo scoraggiamento prende: “La domanda – ammette padre Ibrahim –a volte affiora: il Signore ci ha abbandonato?”, ma subito fa capolino la certezza della resurrezione. “Per questo rimaniamo qui”, conclude Ibrahim. Ecco perché è importante che i cristiani di occidente non si dimentichino, non voltino le spalle, conoscano e, conoscendo, si sentano coinvolti.