Lettera del Vescovo Rodolfo alla Diocesi

…almeno il possibile! Alcuni spunti di riflessione su disponibilità, accoglienza e carità

Seguendo Gesù Cristo e  “tenendo fisso lo sguardo su di Lui”, diventiamo “portatori sani” di una “malattia” che si chiama carità e che si trasmette solo per contagio.

Se c’è, genera relazioni; se la si pratica comunica, coinvolge.

In questi tempi ci vengono incontro e quasi ci accerchiano sempre più storie di uomini e di donne segnati da drammi pesanti. Persone come noi, forse fino ad ieri in situazioni normali, che improvvisamente precipitano nel buio della disoccupazione, dell’insufficienza economica, della perdita di tutto: casa, patria, famiglia… Italiani e non.

Che fare?

Tendere la mano sempre o volgere lo sguardo altrove?

Se incrociamo quello di Cristo si capisce subito dove egli ci rimandi. Non ha mai posto limiti alla carità, si è “nascosto” nei fratelli più piccoli (carcerati, emarginati, malati, profughi), ha chiesto a chi lo segue di amare perfino i propri nemici!

E’ molto impegnativo… Questo ci rende più poveri… Non è facile essere coerenti con il Vangelo…

E’ vero! Ma nemmeno possiamo evitare di fare il possibile per mettere in pratica il suo invito: “Chi vuol venire dietro a me…”

Permettere che prendano campo in noi sentimenti di egoismo, di paura, di autodifesa e di presa di distanza è esporsi a quella che Papa Francesco chiama “tentazione dell’indifferenza”.

“Questa ha preso una dimensione profonda e mondiale al punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che come cristiani dobbiamo affrontare!”

 

Come?

Abbiamo da difendere il cuore, l’anima e il nostro modo di pensare la vita, prima e più delle nostre cose e dei nostri confini.

Quest’anima, ha generato tante opere di attenzione all’altro, di diritti e doveri, di dedizione e disponibilità: fantasia della carità.

La nostra Chiesa (ma anche tanti altri enti di varie ispirazioni) cerca di rispondere con espressioni operative e strutturali nate anche recentemente come la Caritas Diocesana, le Caritas parrocchiali, il progetto “famiglie per le famiglie”, Le Querce di Mamre, la Casa della Carità…

Lo so: la carità deve essere nascosta e silenziosa e non lodarsi da sé, ma credo che, in questo grande chiasso che fa il male, sia doveroso e incoraggiante ricordare il bene che le persone e le istituzioni mettono in atto e tenerlo dinanzi come prospettiva possibile.

Casa Betania per i profughi

Con questo spirito la Diocesi di Grosseto mette a disposizione Casa Betania (una parte dell’edificio del Seminario, in via Ferrucci) perché, se la Prefettura ne farà richiesta, vi  possano essere accolti alcuni profughi in fuga dai loro Paesi. Una formula già sperimentata positivamente in altre strutture, messe a disposizione dalla Chiesa, come Batignano, Gerfalco, Scarlino, con attenti progetti di assistenza, custodia e formazione. Questo potrà realizzarsi anche a Casa Betania.

Faccio  un appello: l’esperienza dimostra che non bastano i locali e i fondi che il Ministero dà per i profughi e le cooperative che lavorano per loro. Quando essi arrivano sono sprovvisti di tutto. Per questo, chi vuole offrire vestiario, calzature, prodotti per l’igiene o altro, può portarli alla Caritas Diocesana. Essa rimane sempre a disposizione di tutti e distribuirà questi effetti secondo le richieste.

La povertà altrui diventi occasione di generosità, superando diffidenze e indifferenza.

Una casa per i padri separati

Ci sono inoltre povertà locali nuove, come quelle dei padri separati. Molti di loro non riescono più a far fronte agli impegni economici verso i figli o l’ex coniuge.

La Diocesi mette a disposizione della Caritas, come ampliamento del progetto “Famiglie per le famiglie”, un appartamento del Centro Giovanile “Pier Giorgio Frassati”. Almeno come abitazione provvisoria.

Il progetto è partito da tempo per alcune famiglie cadute in grave disagio. Sono stati messi a disposizione alcuni appartamenti mentre altre famiglie, in situazione di vita normale, si  sono affiancate loro per ricreare una rete di relazioni di amicizia, determinanti per ritrovare fiducia, stima e autonomia.

Questa è una risposta piccola, ma significativa, all’impegno di tutta la Chiesa per la famiglia, come ci è indicato dal Sinodo.

Affermare con gioia e convinzione la bellezza del Vangelo della Famiglia significa pure farsi carico delle situazioni in cui la ferita di una separazione o di un divorzio hanno generato conseguenze dolorose e complesse anche sotto l’aspetto materiale.

Casa Betania e Centro Frassati, due piccoli segni all’interno della nostra città, che si affiancano ad altri esistenti e validi, grazie alla iniziativa e alla collaborazione di tanti.

Spero che siano di incoraggiamento all’impegno di ognuno per il bene della sua vita e del suo essere vivo e attivo verso gli altri in questo nostro territorio.

Il Signore ci sostenga e ci dia Pace!

+Rodolfo,  vescovo

 

 

Grosseto, 27 febbraio 2015

condividi su