Nella chiesa di san Giuseppe l'ultimo saluto della Diocesi al sacerdote, che sarà sepolto nella sua Polonia

Celebrati i funerali di don Andrea Dzwonkowski. L’omelia del Vescovo

Una stola bianca adagiata sulla bara, a ricordare il suo sacerdozio, il lezionario aperto su di essa, a simboleggiare la Parola di Dio, che ha guidato la sua esistenza, una sua foto. Segni essenziali quelli con cui questa mattina, nella chiesa parrocchiale di san Giuseppe, la Diocesi ha salutato don Andrea Dzwonkowski, deceduto a 58 anni il 1 marzo presso l’ospedale di Negrar (Verona) dove si trovava ricoverato da un mese.
Il vescovo Rodolfo ha presieduto la Messa di esequie, concelebrata da oltre trenta sacerdoti in rappresentanza della comunità diocesana. Tra loro anche due frati minori conventuali originari della Polonia, paese che aveva dato i natali anche a don Andrea. Tanti i fedeli intervenuti alla celebrazione, per dire il grazie della vita e del servizio donati da don Andrea nei suoi 29 anni di sacerdozio.

Ecco il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Rodolfo

“Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla” (dal salmo 22)

L’abbiamo ripetuto perché ci veniva suggerito dalla liturgia, ma vogliamo ridirlo nel nostro cuore, per noi e a nome di don Andrea, per percepire fino in fondo questo momento sotto la guida del Signore, buon pastore, che ha dato la vita per ciascuno e che anche in questo momento porta la nostra vita. Per don Andrea in maniera nuova; per noi aiutandoci a vivere questo passaggio nella nostra esistenza personale, nella nostra Chiesa.

La celebrazione odierna ci permette di vivere il nostro essere Chiesa e famiglia, appartenendogli in modi diversi, ma ognuno di essi importante, vivo. Ringrazio il Signore per ognuno di voi, per quello che siete, che fate, che pregate, che offrite alla nostra Chiesa.

Con don Andrea una parte di noi è andata oltre; lui è venuto tra noi da lontano, con una storia sua, un’esperienza francescana e poi sacerdotale. E’ stato tra noi nella sua umanità, robusta, forte come era il suo fisico, ma anche nel suo calore e nella sua fragilità. Ha donato se stesso, ha servito tanti e tante realtà, ha sofferto, ha gioito, ha cantato, ha lavorato con noi e in questa comunità ecclesiale è stato accolto, è stato amato, è stato seguito, coscienti – lui e la comunità – dei suoi doni; desiderosi – lui e la comunità – che quei suoi doni avessero frutto, fossero seminati sempre e don Andrea trepidante, sempre più nella sua vita, anche nel vivere la fatica e i limiti della sua umanità, ma sempre voglioso di lottare e di superarsi, perché sempre attento ai bisogni delle persone che aveva vicino, che gli volevano bene, che desideravano il suo bene e per i quali voleva il bene. Sempre. Lottando, come mi ha detto nell’ultimo giorno prima della morte, nel tunnel, finché c’è la luce davanti ad esso. Finché si vede la luce, si lotta.

La luce che si manifesta nel dono della vita, che il Signore ci ha dato e da cui inizia tutto; la luce della vocazione, in cui Andrea ha creduto e per la quale si è donato; la luce degli amici, dei confratelli; la luce del cercare, specie quando ci si rende conto che – pur nei limiti – non si è soli: ci è accanto una famiglia, una comunità di amici, la Chiesa. Don Andrea ha percepito con gratitudine questa vicinanza, che anche oggi si esprime attraverso la presenza di ognuno, e nell’ultimo giorno in cui ho potuto parlare con lui, questo “grazie” c’è stato, forte, verso tutta la Chiesa diocesana, verso i confratelli sacerdoti, che gli sono stati vicini – in questi ultimi tempi in modo particolare il vicario generale don Desiderio e don Claudio Piccinini – verso le famiglie, le tante persone polacche e italiane e infine verso i medici e gli infermieri dell’ospedale di Negrar, dove ha passato le ultime settimane.

Finché c’è una luce si lotta. E una luce c’è sempre stata nella sua vita: il sacerdozio, che ha accolto, scelto e vissuto come dono. E naturalmente Dio. Anche nell’ultimo giorno, più sereno e rilassato del solito, benedicendo il Vescovo e tutti voi, contento di aver fatto tutto, di aver ricevuto i sacramenti ed essere pronto, di affidarsi. E’ la luce della fede, che rimane anche in questi momenti.

E’ la luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato e che, spesso intrisa della vita di ogni giorno, pur ascoltandola, talvolta ci è più tenue, altre volte più luminosa come oggi.
Più luminosa perché? Perché è nella Liturgia. Perché è nel nostro operare, nel nostro essere, nel nostro stare dinanzi al Signore, nel nostro ascoltarlo come Chiesa e come singole persone.
E’ più viva quando l’ascoltiamo nella Liturgia, ma oggi è più viva anche perché la vediamo sulla vita di don Andrea, perché la Parola di Dio è la verità più profonda su don Andrea e anche su tutti noi.

Ripensiamo ad Isaia, a quel canto bello, a quella profezia che ci ricorda che da sempre sulla nostra storia, così come è stato sulla storia di Andrea, ci sono lacrime, ma saranno asciugate; sempre sui nostri cuori, sulle nostre speranze e anche sul nostro impegno e sul nostro zelo c’è qualche velo più o meno pesante e scuro, fatto dai limiti, dalle incertezze, dalle sconfitte e sempre sembra vincere la morte. Ma la fede, che ha animato don Andrea e che oggi la sua vita e la sua morte ridicono a Dio, ha in cuore questa sicurezza, che ci viene proprio dalla Parola:

In quel giorno strapperà ogni velo dai nostri occhi (cfr Is 25, 7)

In quel giorno asciugherà ogni lacrima su ogni volto (cfr Is 25,8)

La morte sarà vinta per sempre

Abbiamo sentito come il profeta ci suggerisce: “Ecco il Dio in cui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore nel quale abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza” (Is 25, 9)

Dentro le lacrime, sotto il velo c’è questo fuoco, questa bellezza del Dio in cui abbiamo sperato, che è vivo e vive tra di noi e per noi e ci trascina nella sua vita.

E’ il Signore Gesù colui nel quale abbiamo sperato! Egli è il Figlio di Dio che ha dato la sua vita perché noi avessimo la vita e l’avessimo in abbondanza (cfr Gv 10,10)

E Lui ha attraversato l’esistenza che noi attraversiamo. Tutta! E’ passato attraverso il dolore e nella morte, ma l’ha vinta, affinché anche noi ne venissimo – ce lo ripeteva la Lettera ai Romani nella II lettura – immersi e ne prendessimo la forza, ne assorbissimo fin d’ora, attraverso il Battesimo, l’eternità, la capacità di vincere il male, nella speranza di appartenere poi alla sua vita piena in Dio.

“Non sapete – Paolo lo ricorda a noi per consolare ed illuminare il dolore di questa morte – che quanti siamo stati battezzati in Cristo siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del Battesimo siamo stati sepolti insieme a Lui nella morte, affinchè come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. (Rm 6,3-4)

E’ così che possiamo partecipare a quella vittoria sulla morte:
“Vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,8-9)

Noi siamo aggrappati, inseriti, innestati in questa vita.

E poi le parole di Gesù, queste splendide espressioni, che ancor più ci danno luce sulla nostra vita e su quella di Andrea. Parole pronunciate nell’ultima cena, nell’intimità con i suoi, dove egli crea il ministero del sacerdozio, affidato poi anche ad Andrea. Verso la fine, il Vangelo di Giovanni riporta la sua grande preghiera, che ci fa entrare nel cuore di Cristo che parla col Padre. A Dio Egli parla di sé, ma parla anche dei suoi, di coloro che il Padre gli ha dato; di noi e di tutti quelli che sono con Lui:

“Erano tuoi, li hai dati a me” (Gv 17,6) e alzando gli occhi al cielo, con uno sguardo che unisce tutta l’umanità a Dio, Gesù chiede a Dio che quelli che gli sono stati dati “siano con me dove sono io” (Gv 17, 24). E’ la vicinanza che per sé Gesù ha poi chiesto ai suoi nel Getsemani e che ora chiede, quasi pretende dal Padre: che il posto che darà a Lui, per l’amore e per la vita che Egli ha donato per il Padre e per noi, sia anche per loro!

Questa è la Parola di Luce che sta dinanzi a noi, sempre, battezzati in Lui; immersi nella sua vita; consacrati, legati a Lui per la Sua vita; destinati, voluti da Lui con sé, perché questa storia di amore continui ancora:

“Io ho fatto loro conoscere il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi ed io in loro” (Gv 17, 26)

La vita terrena non basta ad accogliere tutto questo amore che Gesù ci ha fatto conoscere e che Egli vuole che, come è eterno tra Lui e il Padre, diventi anche l’eternità della nostra vita.

La morte è una realtà percepibile, forte, concreta: ci siamo di fronte. Ma dentro di essa, noi abbiamo nel cuore ancora con più forza questa luce che non si spenge e che anche quando il tunnel si fa più scuro rimane sempre accesa. Oggi è quella luce che noi pensiamo abbia sempre guidato don Andrea: come cristiano, come francescano, come sacerdote diocesano ha poggiato la vita su questa fede.
Quante volte questa fede avrà riacceso il suo impegno! Ogni giorno, ma soprattutto nei momenti difficili è stata proprio la fede a spingerlo e sostenerlo. E quante volte don Andrea l’ha indicata a tanti, anche con la sua caparbietà, con la sua durezza e quante volte l’ha donata e ridonata attraverso la sua parola, il suo sorriso,  il suo esempio, i suoi occhi – come ricordava ieri sera il Vicario –, nei sacramenti, nella predicazione, ma anche nella testimonianza, umanissima, che egli ha dato sempre.

E’ il dono che Dio ha fatto a lui, alla sua famiglia (tra noi ci sono anche dei suoi confratelli e li ringrazio) e a questa Chiesa. E come tutti i doni di Dio sono in un vaso fragile: tutti ne facciamo esperienza e anche Andrea ce lo ha raccontato con la sua vita. Ma in questo momento splende e vogliamo che splenda ai nostri occhi la luce delle sue scelte e della sua testimonianza.

Chiediamo davvero che splenda pienamente ai suoi occhi quella luce nel Signore in cui ha sperato.

Il Signore ti dia pace, Andrea, e ti accolga nelle sue braccia!

Amen!

+Rodolfo

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