"Torniamo a parlare di vita eterna e viviamo da comunità anche la morte"

Il vescovo Rodolfo scrive alla comunità diocesana “quasi una lettera…sul vivere e sul morire”

La morte è sempre più esorcizzata, nascosta, tenuta fuori. Cambiano i tempi e i contesti culturali e anche il momento che segna la conclusione della vita terrena è diventato un «accidente» di cui liberarsi prima possibile. Raramente si muore in casa, i funerali sono sempre più veloci.

La pandemia ci ha messo di fronte anche un altro fenomeno: quello della impossibilità di dirsi addio, di stringere la mano a un genitore, un parente che sta morendo. Anche i funerali diventano un fatto quasi privato. Eppure nella visione cristiana dell’esistenza, la morte non è l’ultima parola e le persone che se ne vanno sono – appunto – defunti: hanno concluso la loro missione su questa terra e per loro si spalancano le porte dell’eternità.

La teologia e la tradizione della Chiesa ci insegnano, da secoli, non solo ad avere rispetto per i nostri defunti, ma anche a pregare per loro, affinché se hanno bisogno di purificazione, la comunione dei santi li aiuti a raggiungere prima la metta: l’incontro faccia a faccia con Dio. Un tempo si parlava di «novissimi» per indicare tutta la catechesi cristiana intorno all’escatologia, cioè alle verità ultime della nostra esistenza. Eppure anche la vita delle comunità cristiane sembra, talvolta, impegnata a  seguire altri fronti (tutti buoni), ma a trascurare questo.

Anche per questo, nei giorni scorsi il Vescovo Rodolfo ha firmato una lettera – indirizzata al clero e ai collaboratori laici – per offrire alcuni spunti di riflessione e alcune conseguenze pratiche sul piano pastorale. La lettera è stata preceduta da una mattinata di lavoro coi parroci del capoluogo per riflettere su come restituire valore pieno, dal punto di vista pastorale, al momento dei funerali, all’accompagnamento delle persone negli ultimi istanti e successivamente dei familiari.

La lettera del Vescovo parte da una riflessione sulla vita come dono per toccare, poi, il tema della “ferita” della morte vista come “feritoia dell’infinito” e quindi della “riscoperta della prossimità nel momento del trapasso”.

“L’esempio di Gesù, buon pastore e il nostro ministero – scrive mons. Cetoloni – ci impegnano a tenere a coscienza, a parlare del vivere e del morire (della vita e della morte) nella predicazione, nella catechesi e nel colloquio personale. La fede e la nostra responsabilità di pastori ci chiamano ad essere prossimi alle persone e alle famiglie nei momenti della malattia, della morte e di quanto essi creano nella vita dei familiari, della comunità ecclesiale e civile”. E aggiunge: “Sempre più la morte è vissuta non nel dolore dignitoso, ma nel fastidio di trovarsi ad avere a che fare con essa e quindi nel cercare di chiudere la faccenda alla svelta. Lo dico con dolore e disagio, ma sarei ben lieto di sbagliarmi! Nelle città, più che nei paesi, si sono indebolite le relazioni, per cui spesso non si sa che qualcuno è stato ricoverato o è ammalato grave, si avvicina al trapasso o è morto”.

Da queste considerazioni, il vescovo di Grosseto esorta clero e comunità cristiane a “zelo e inventiva, relazioni curate e custodite” e offre alcune piste di lavoro pastorale. A partire dal suggerire di “dare maggior spazio alla catechesi e all’annuncio cristiano sui Novissimi. Intensificare le catechesi e le celebrazioni comunitarie del sacramento dell’Unzione degli Infermi e la pastorale del recarsi a visitare gli ammalati, portando loro la Comunione”. Nelle catechesi “rinnovare l’annuncio sul senso del suffragio” e “precisare la preferenza, per noi cristiani, dell’inumazione” spiegando, nei casi in cui venga scelta la cremazione, “le condizioni previste per la celebrazione, la benedizione e la custodia delle ceneri”. Non solo. Nella lettera mons. Cetoloni ribadisce che “la chiesa parrocchiale è il luogo primario deputato alla celebrazione delle Esequie” e suggerisce anche una linea di condotta per precisare meglio gli “ambiti” entro i quali le stesse agenzie funebri possono muoversi, affinché non si sostituiscano ai parroci nel rapporto con i familiari di una persona defunta. Il Vescovo, infine, suggerisce che nelle parrocchie sia costituito un gruppo di persone “dotate di fede, carità e buon approccio, che aiutino il parroco nel ministero della consolazione e intervengano per animare la celebrazione dei funerali in parrocchia”. 

Tutte indicazioni per vivere una maggiore alleanza, alla luce del Vangelo, tra famiglie e parrocchie in momenti così dolorosi, che coinvolga anche le agenzie funebri.

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