Nell'essenzialità del rito le parole del profeta Isaia e del Passio secondo Giovanni

L’omelia del vescovo Rodolfo nella Liturgia della Passione

Vorrei che le parole che abbiamo ascoltato si stampassero davvero nel nostro cuore.

Si dice di Francesco d’Assisi che quando, a La Verna, ricevette le stimmate, fu come se venisse a galla nelle sue carni quello che gli si era stampato nel cuore fin da giovane stando dinanzi al Crocifisso di San Damiano.

Guardare al Crocifisso, ascoltare il racconto della Passione in forma così solenne e anche così scarna oggi, è proprio perché questo mistero d’amore ci stia dinanzi e faccia da riferimento alla nostra vita.

E fa da riferimento alla nostra vita e a quella di Gesù, quasi come un sigillo, quasi come uno scrigno che racchiude lo stile della vita del Signore.

“Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1).

Il punto culminante di questo “sino alla fine” è la croce.

L’aveva detto un giorno ai suoi:

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13)

E aveva detto anche:

“Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se invece muore porta molto frutto”. (Gv 12,24)

E ancora: quando il Figlio dell’uomo sarà innalzato attirerà tutti a sé (cfr Gv 12,32).

Ecco, la croce innalzata sul Calvario con Gesù inchiodato ad essa è la realizzazione di queste parole che Lui aveva detto, che erano il progetto della sua vita: amare gli amici fino a dare la vita per loro; essere come il chicco di grano che per portare frutto deve essere macerato dalla terra.

Anche noi stasera, ascoltando, innalziamo il nostro sguardo con fede “a Colui che è stato trafitto” (Gv 19,37). Ma non è facile guardare lo spettacolo della croce, non è facile tenere a lungo gli occhi su uno sconfitto: o è una delusione, come lo fu per molti degli apostoli, o è uno scandalo che il Messia, il Figlio di Dio, venga ucciso.

E fu questo che fece fuggire i suoi da Lui. Solo Maria, altre donne e Giovanni, il discepolo che amava, rimasero sotto la croce.

La croce è davvero scandalo per i giudei. Non si riesce ad attraversarla come un luogo che porti al positivo. Finisce tutto lì… Ma dopo la resurrezione di Gesù, quando i discepoli cominciarono a riflettere sulla sua esperienza, capirono che cosa era accaduto sulla croce.

La Parola di Dio stasera ce lo ha detto attraverso questo testo di Isaia, che fu tanto caro e importante ai cristiani per capire come quello che era accaduto a Gesù non era stato un incidente di percorso, ma era davvero la strada scelta dal Padre per Lui e che il Signore aveva abbracciato nell’obbedienza.

Abbiamo sentito Isaia:

Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi,  non splendore per potercene compiacere. Disprezzato e reietto dagli uomini,  uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia,  era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. (Is 53,2-3)

E’ difficile guardare una realtà del genere, ma il profeta Isaia la profetizzò e i cristiani capirono che cosa era avvenuto in quest’uomo disprezzato e carico di dolori.

Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. (Is 53, 4-5)

Queste parole permisero ai cristiani non solo la gioia della resurrezione, ma anche la capacità di cogliere in quell’obbrobrio, in quella condanna, in quella vergogna della croce tutto questo amore, che li aveva presi, caricandosi delle loro ferite, le aveva guarite dando la sua vita.

Ma la riflessione dei primi cristiani continuò, per comprendere che cosa tutto questo significasse nella loro vita. Stasera il brano della Lettera agli Ebrei lo dice a noi:

“Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze. Egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa, come noi, escluso il peccato”. (Eb 4,15)

Colui che è sulla croce ha sperimentato tutte le fatiche, tutti i pesi, tutte le prove a cui è sottoposta la nostra vita e, com’è difficile guardare il male in qualsiasi uomo offeso, come era Gesù sulla croce, così è difficile guardare ed accettare il male su di noi. E’ difficile riconoscerci l’amore e la presenza di Dio.

Invece noi abbiamo un sommo sacerdote, quindi un esemplare del nostro rapporto con Dio, che è passato attraverso queste stesse nostre debolezze. Allora, ecco cosa dice stasera a noi la lettera gli Ebrei, soprattutto in questo Anno della Misericordia:

“Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno”. (Eb 4,16)

Il fatto, l’umiliazione di Gesù, il riconoscervi la profezia di Isaia, ma anche il riconoscervi quella strada che ci è stata data, passando per la quale, possiamo accostarci al trono della grazia.

La croce, Gesù che vi muore appeso, diventano il punto di passaggio non solo del Suo amore massimo verso di noi, ma anche dell’amore del Padre verso di noi.

***

Ho cercato di riprendere la Parola di Dio con pochi commenti e poche riflessioni, proprio perché abbiamo bisogno di questa Parola, specialmente in questo anno così difficile anche sulla pelle dell’umanità.

Pensiamo alle disgrazie di questi giorni, oltre ai mali che ci sono da sempre nel mondo; in questi stessi momenti si stanno svolgendo i funerali di Elena, la ragazza di Gavorrano tra le vittime dell’incidente in Spagna; pensiamo alle vittime di Bruxelles; pensiamo alle guerre, alla mancanza di bene, di salute, di lavoro; pensiamo alle persecuzioni verso tanti cristiani ad Aleppo, in Medioriente; pensiamo alle quattro suore martirizzate nello Yemen insieme ad altri volontari, pensiamo a tanta gente che davvero sta portando la croce, senza terra, senza prospettive… Un tempo che se lo guardiamo bene – se non vogliamo fuggire o dire che certe cose non ci riguardano – è un tempo che ci mangia dentro, ci chiede il perché e ci dice che non abbiamo parole nostre, non abbiamo spiegazioni….ci fa forse sentire ancor più in difficoltà, più soli al mondo di fronte a tante cose così pesanti.

Per questo la Parola di Dio! Per questo lo stare davanti alla croce, per ritrovarvi le radici della nostra fede!

Dio è stato, proprio in questi momenti, più che mai vicino all’umanità. Attraverso questi momenti si è fatto carico dei mali dell’umanità.

Allora anche in questi tempi, che talvolta sembrano svuotarci e farci quasi dire “Dov’è Dio?” perché sembrano vuoti di Lui avendo noi svuotato l’umanità, la Parola di Dio e la testimonianza di Gesù viene a dirci che Egli viene proprio a riempire quei vuoti, a farsene carico. E là dove viene tolta la vita, là dove viene tolto il bene Lui semina se stesso, versa il suo sangue, depone tutta la sua vita.

Queste sono le parole della nostra fede!

Vorrei chiedere per me e per voi che in questo momento, ognuno con le sue fatiche, i suoi dolori, i suoi peccati, i suoi limiti, ma anche facendosi cassa di risonanza di tanto male che è nel mondo, ascoltiamo nel cuore la testimonianza di Gesù, guardiamo a Lui sentendo su di Lui tutto il male che ci scandalizza, tutto il male che ci fa soffrire, ma anche vedendo in Lui la scala, il ponte che ci dà il passaggio con piena fiducia al trono della grazia e della misericordia di Dio.

In un momento di silenzio chiediamo questo dono per noi, per la Chiesa, per chi è sottoposto al dolore e per tutta la nostra umanità.

Amen!

+Rodolfo, vescovo

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