"La tua umanità in 60 anni di sacerdozio e 86 di vita è fiorita e cresciuta grazie alla tua fede, diventando calda, forte, sicura, vicina, ha saputo indicare il Signore"

Omelia del vescovo Rodolfo per il 60esimo di sacerdozio di don Giovanni Tumiatti

Letture: Prima Lettura Ger 20,10-13; Sal 68; Seconda Lettura Rm 5,12-14; Vangelo Mt 10,26-33

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Un grande grazie a ognuno di voi e al cammino che il Signore ha fatto fare a voi tutti e a te, don Giovanni, in modo particolare. Mettiamo tutto insieme, stasera, riconoscendo in questa occasione che ci riunisce un altro dono del Signore, per confermarci, per incoraggiarci, per farci vivere – come ha ricordato il fratello che ha letto il messaggio di auguri di questa comunità al vostro parroco – la gioia e la bellezza di essere cristiani.

E prima di tutto, stasera, questa conferma ci viene dalla Parola di Dio.

Mi fermo un po’ su di essa perché so quanto don Giovanni la ami.

 

A partire dal profeta Geremia, che sente tutt’intorno denunzie, calunnie, accuse…perfino gli amici che dicono: “Denunciamolo!” (cfr Ger 20, 10). Solo! Solo, al punto di provare anche lui qualche momento di paura, di disperazione, quasi da voler dire basta. Ma poi va avanti e dice:

“Il Signore è al mio fianco come un prode valoroso!” (Ger 20,11)

La Parola di Dio, raccontata da questo grande profeta, ravviva nella nostra vita tutti quei momenti che ognuno di noi può aver vissuto e dei quali vogliamo ringraziare Dio, che è stato al nostro fianco come sostegno, come luce, servendosi di tante cose.

Guardiamo a Lui: questo ci deve confermare!

Poi Paolo, che nella lettera ai Romani, parla del male che, per il peccato di uno, è entrato nel mondo: è il peccato originale, il male che è in tutti ed è cresciuto – dice Paolo – perché entrando in ognuno è diventato come una cappa pesante: la morte ha regnato sull’umanità. Guardiamoci attorno: quanto anche oggi questa morte continua a pervadere tante realtà! Però Paolo, che ha incontrato Gesù, ci dona la prospettiva della speranza forte che la grazia che si è manifestata attraverso un uomo solo si è riversata ancora più abbondante su tutti. Come a dire: c’è il male intorno a noi; c’è il male, la fatica, l’errore in ognuno di noi – dal Vescovo al più piccolino presente qui stasera -, ma c’è una grazia attraverso Gesù, c’è un bene che è entrato nel mondo e in ciascuno di noi attraverso il Battesimo e che è nella Chiesa, nelle nostre comunità, nei sacramenti, ed è sovrabbondante oltre tutto il male.

Il bene di Dio è ancora più grande: il male non può vincere!

Questa Parola stasera rende più sicura la nostra fede, ravviva la nostra gioia e ci aiuta a ringraziare il Signore perché ce l’ha fatta conoscere.

Infine, il brano evangelico in cui Gesù ci dice: “Non abbiate paura” (Mt 10,26). Non so se sia vero, ma ho letto la meditazione di un Vescovo, che ha sottolineato come senel Vangelo oggi proclamato questa espressione – non abbiate paura – c’è tre volte, nella Bibbia nel suo complesso c’è ben 366 volte: una per ogni giorno, compreso l’anno bisestile. E’ molto bello! Dio vuole aiutarci ad attraversare il tempo con questo incoraggiamento a non avere paura!

Non abbiate paura di chi trama, non abbiate paura di chi può uccidere il corpo (cfr Mt 10,28); abbiate paura, semmai, di chi può uccidere l’anima, di chi, cioè, può separarci dall’Amore, di chi può instillare nel nostro cuore il dubbio, il timore che la Parola di Gesù non sia vera, generando scoraggiamento. Di questo dobbiamo aver paura!

Gesù usa due esempi bellissimi per spiegarci ancora meglio perché non dobbiamo avere paura:

“Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate, dunque, timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,29-30)

La Parola di Dio stasera ci viene incontro per ravvivare davvero tutti i motivi di gioia con cui siamo venuti qui.

Motivi che tante volte sono passati in tanti di noi anche attraverso don Giovanni Tumiatti. Lo dico senza tante lodi perché so che tu non sei il tipo, ma è accaduto davvero che attraverso la tua vita, le tue parole, il tuo esempio il Signore abbia edificato tante persone! Grazie, allora, perché il rassicurarci nella fede del valore di ognuno di noi e viverlo nella vita quotidiana di una piccola come di una grande parrocchia tu hai saputo insegnarlo, confermarlo e realizzarlo. E lo hai fatto con la tua umanità, coi tuoi doni, col tuo carattere e con quel calore che continua ad essere un tratto specifico della tua personalità. Lo hai fatto con quella normalità di vita, che il Signore ha preso tutta. Un’umanità che in 60 anni di sacerdozio e 86 di vita è fiorita e cresciuta grazie alla tua fede, diventando un’umanità calda, forte, sicura, vicina, che ha saputo indicare il Signore. Questa è la funzione di chi è chiamato a servirLo.

E se nella Parola di Dio oggi abbiamo trovato gli spunti che ho richiamato, vorrei ora fermarmi alla preghiera di Colletta fatta all’inizio della Messa, perché li riassuma e tu le possa davvero ridire:

“O Dio che affidi alla nostra debolezza l’annunzio profetico della tua Parola”, Parola viva, che ricrea, che purifica, “sostienici con la forza del tuo Spirito, perché non ci vergogniamo mai della nostra fede”. Anche questo, Giovanni, è il tuo carattere; anche questa è la tua umanità: piccolino, ma robusto; piccolino, ma coraggioso; piccolo, ma sicuro non solo della propria umanità, ma anche e soprattutto del dono del Signore.

In questa preghiera c’è, mi sembra, il sunto dei tuoi 60 anni di vita sacerdotale, nei quali hai confessato “con tutta franchezza” il nome del Signore “davanti agli uomini”. Io sono l’ultimo a conoscerti, ma ti voglio ringraziare a nome di tutta questa Chiesa diocesana e di tutta questa gente. Lo faccio “rubandoti” qualcosa. Don Giovanni, nel lontano 1980, in occasione del II Convegno di pastorale diocesana dedicato al tema della vocazione, offrì una sua testimonianza. E iniziava così:

“Stasera dovrò dire delle cose che non ho mai detto a nessuno, neanche al mio Vescovo (…) ma siccome il sacerdozio è una missione devo farne dono anche a Voi” (cfr. Rivista diocesana 1980, Atti del Convegno, pgg. 500 e seguenti)

“Innanzitutto – continuava la testimonianza di don Giovanni – devo dire che sono contento di essere Sacerdote, e lo sono da 23 anni. Sono contento e se lo potessi chiederei di nuovo al Rettore di entrare in Seminario. Quindi su questo non ci sono dubbi, anche se questa contentezza è cresciuta con l’andare degli anni e direi che ringrazio il Signore di tutto questo anche se i problemi non sono mancati e non mancano tuttora”.

E’ una bella testimonianza! Ne prendo altri spunti che vi offro, perché da queste parole traspare davvero chi è Giovanni.

“L’occasione del mio primo incontro con Dio fu una malattia che mi portò in ospedale – perché non è che fosse un ragazzino che andasse sempre ad accendere e spegnere le candele in chiesa, a Castiglione della Pescaia! – Dalle suore compresi, non so fino a che punto, che c’era qualcuno che mi stava cercando. Questo qualcuno era poi Gesù. Capii qualcosa lì”.

Poi Giovanni racconta di come a 12 anni poté fare la prima confessione, a san Giovanni Battista, a Castiglione della Pescaia. Allora correva bene in su, ma ci racconta anche come in quell’occasione corse in giù:

“Scendendo giù mi sembrava come di volare, mi sentivo libero, anche se avevo solo 12 anni; però c’era una libertà, un qualcosa che stava entrando in me, che si manifestava”.

E più avanti: “Sentivo un’attrattiva fortissima e non capivo bene cosa fosse, verso una persona che si faceva sentire, come di nascosto, come al di là di un muro, però ero certo che poi l’avrei vista, l’avrei sentita”.

E poi la Prima Comunione e l’Eucaristia quotidiana “che ricevevo” e che “mi faceva sempre di più innamorare di questo qualcuno, che era Gesù. Non è che avessi le idee chiare, però sentivo un’attrattiva fortissima”.

Giovanni intuisce che quella del sacerdozio era la sua strada. “Ne parlai con il vice parroco – raccontava sempre in quella testimonianza del 1980 – perché avevo paura di parlarne in casa, per il clima che ho detto prima”, ma anche perché – e qui viene fuori la personalità di don Giovanni – sapeva che in famiglia c’era bisogno del suo lavoro. Tutti però accolsero positivamente il suo desiderio.

In Seminario la vita di un ragazzo cambiava, “ma sapevo che dovevo andare avanti, questo lo avevo chiaro, chiaro per quanto potevo capire a quell’età”. Appena sacerdote, don Giovanni capisce che “c’era qualcosa che non andava ma non riuscivo bene a capire cosa fosse. Contestavo, non ero sereno, eppure sapevo che quella era la mia strada”. Erano gli anni del Concilio e Dio parla al cuore di Giovanni facendogli capire “…che il mio io doveva crollare e che il programma del mio sacerdozio era scritto in cielo, dall’eternità. Io invece volevo portare avanti un programma mio”.

La testimonianza prosegue raccontando tutto l’itinerario che il Signore ha aiutato Giovanni a fare: non a ritrarsi indietro, né a fare meno, ma a fare con questa “anima”, che gli fece anche scoprire – in quegli anni pieni di fermento – che egli era sacerdote dentro la Chiesa. E questa dimensione ecclesiale quanto egli l’ha vissuta in tutte le parrocchie in cui è stato inviato e quanto ancora continua a viverla! Posso testimoniarlo direttamente: quanto lo fa sentire a me, suo vescovo, e come lo vive questo suo essere sacerdote della Chiesa di Dio!”

“Non riuscivo prima – raccontava sempre in quella testimonianza – a leggere un discorso del Papa, non vi scandalizzate! Ora invece mi sento a disagio quando non riesco a seguire un suo intervento”. E so che anche oggi a Buriano la formazione degli adulti la fa proprio attraverso le catechesi del mercoledì del Papa.

 

Bene, non vi leggo altri passaggi di questa bellissima e autentica testimonianza, perché si va molto nell’intimo. Vi voglio leggere però il finale di questo suo intervento:

“Ora so con certezza, certezza umana, certezza anche profonda, che io devo essere nella parrocchia non il parroco, perché il parroco è Dio; io devo essere al suo servizio per tutte quelle cose che il Signore vuole e si serve di me per realizzare i suoi gesti di salvezza. So che se sarò fedele al mio sacerdozio, ogni giorno è un dono che Dio mi offre da vivere con Lui, non da solo, ma con gli altri, perché Lui mi ha voluto sacerdote per gli altri al suo posto”.

E’ così da 60 anni e noi preghiamo il Signore che il dono che da allora ad oggi è cresciuto continui ancora per molto, per tenere il tuo cuore così bello, così libero a servizio di tutta questa Chiesa.

Grazie don Giovanni!

+Rodolfo

 

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