Cattedrale di Grosseto, 12 giugno 2022

Omelia nella Messa di ordinazione presbiterale di fr. Lorenzo Gemmi

Caro vescovo Rodolfo,

Padre Provinciale

e tutti voi fratelli e sorelle,

Viviamo stasera un momento molto importante per la famiglia francescana, ma anche per la nostra Chiesa diocesana, perché il ministero dell’Ordine è dato, prima di tutto, per la Chiesa.

“Ora, giustificati per fede – ci ha detto san Paolo nella II lettura – noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (cfr Rm 5,1)

Come sono bele queste parole! Viviamole insieme questa sera! E’ il primo indispensabile atteggiamento di chi ha la gioiosa consapevolezza di aver ricevuto un dono. Un dono, perchè in questa Eucaristia la tua piccola storia entra a far parte della grande storia di Gesù. C’è già entrata col Battesimo, confermata con la Cresima (questo riguarda tutti noi); stasera vi entra per un dono particolare, di cui l’apostolo Pietro ci dice: “Ognuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio” (1Pt4,10)

Tutti noi come membri del popolo di Dio abbiamo ricevuto doni particolari che formano la nostra personalità e anche la nostra storia. E qui mi permetto un saluto riverente ai tuoi genitori, perchè anche loro hanno ricevuto un dono, il sacramento del matrimonio, e hanno contribuito a costruire con la loro vita la comunità cristiana.

Ora però – concentrando la nostra attenzione su quello che stiamo celebrando – qual è il dono che stasera noi, vescovi e presbiteri, trasmettiamo a Lorenzo?

La liturgia,quasi prendendoci per mano – e chi meglio di lei?! – ci accompagna per accogliere profondamente il sacramento che celebriamo. Seguiamo allora con attenzione queste parole e questi gesti.

Il primo gesto lo abbiamo già vissuto:

“La Santa Madre Chiesa chiede che questo fratello sia ordinato presbitero”.

(dal rito dell’Ordinazione presbiterale)

Quindi non una domanda personale o un’autocandidatura, una scelta, cioè, di cui la Chiesa deve semplicemente prendere atto, ma una richiesta della Chiesa stessa. Questa semplice domanda illumina con una luce tutta particolare il ministero che ora riceverai.

Certo, il singolo fedele, chiamato a svolgere questo ministero, deve essere libero nel dire sì, impegnando la propria retta coscienza, dichiarandosi esente da ogni costrizione e condizionamento, ma non è una sua scelta, come non è stata una scelta quella degli apostoli, ma una chiamata. Noi usiamo spesso la parola “vocazione”.

La vocazione ministeriale ha una sua peculiarità che non vogliamo dimenticare, perché nessuno di noi ha diritto a essere ordinato vescovo, prete o diacono, ma è la predicazione apostolica che chiede la nostra disponibilità! Infatti nella grande preghiera di ordinazione, il Vescovo prega così:

“Ora, o Signore, vieni in aiuto alla nostra debolezza e donaci questi collaboratori di cui abbiamo bisogno per l’esercizio del sacerdozio apostolico“.

La necessità apostolica non è la continuazione o la conservazione di un’organizzazione sacra, una specie di multinazionale religiosa, che ha bisogno di personale specializzato e a tempo pieno per andare avanti…Questa immagine della Chiesa è falsa!

Il fine ultime della Chiesa è annunciare il Vangelo perché “mediante la loro predicazione, con la grazia dello Spirito Santo, fruttifichi nel cuore degli uomini, e raggiunga i confini della terra (…) Così la moltitudine delle genti, riunita a Cristo, diventi il tuo unico popolo, che avrà il compimento nel tuo regno” (ibid.)

Così recita la preghiera di ordinazione e illustra molto bene lo scopo della chiesa e del ministero.

***

Caro Lorenzo,

noi preti – da stasera anche tu – non vogliamo avere altro scopo, altro ideale che questo: che Cristo sia conosciuto, sia creduto e sia amato!

Te lo ripeto: che sia conosciuto, che sia creduto, che sia amato!

E’ vero, però, che di per sé evangelizzare è compito di ciascun battezzato, perché chiunque crede in Cristo deve testimoniarlo con la vita e con le opere. Qual è, allora, il nostro specifico modo di preti di testimoniare e parlare di Lui? Cosa intende la Chiesa con l’imposizione delle mani per il sacramento dell’Ordine?

Seguiamo ancora la Liturgia, che dice:

“Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano?”

Ecco qual ‘è il nostro compito e dovere!

E nell’unzione crismale delle mani ti dirò:

“Il Signore Gesù Cristo, che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio.”

Questo vuol dire essere presbiteri!

Ora, lo sappiamo e ne siamo tutti convinti, predicare il Vangelo non significa insegnare delle dottrine, parlare di personali esperienze religiose, ma proclamare che Gesù è il Signore e che Dio lo ha risuscitato dai morti. “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo tuo figlio” (Gv 17,3). Questo è l’ideale di ogni cristiano; è l’ideale di ogni battezzato; è l’ideale tuo: dal Battesimo, dalla Professione religiosa e stasera dall’Ordinazione.

Ora questa proclamazione non è avulsa da una comunità che celebra e che vive come una famiglia di Dio. Noi dobbiamo impegnarci a costruire la comunità cristiana. Celebrare i sacramenti vuol dire anche questo, vuol dire soprattutto questo! E allora ecco lo specifico del nostro essere preti: amare, servire ed edificare la comunità cristiana come conseguenza diretta di quell’annuncio di Cristo conosciuto, creduto e amato.

Una sottolineatura sul termine presbitero, che – come tutti sanno – è un comparativo e significa: più anziano. Il significato letterale potrebbe far sorridere, caro Lorenzo, pensando alla tua giovane età, ancora ben lontana da definirti anziano. Eppure la Chiesa, con l’imposizione delle mie mani di successore degli apostoli, ti costituisce anziano della comunità. Nella tradizione biblica, questa parola non corrisponde tanto a un’età anagrafica, quanto ad una sapienza data dalla consuetudine all’ascolto della parola di Dio, per cui il salmista dice: “Ho più senno degli anziani, perchè osservo la tua parola”. (cfr Sal 118)

Per questo ti chiederò:

“Vuoi dedicarti assiduamente alla preghiera (…) ed “essere sempre più strettamente unito a Cristo consacrando te stesso a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini?”

E’ qui la fonte di quella sapienza, che la Chiesa qui presente si aspetta da te.

Noi siamo – non dimenticarlo mai – ordinati per tutti! Per tutto il popolo di Dio, non per un gruppo, che porti un nome o ne porti un altro. Devi guardarti da una concezione elitaria della Chiesa, che non è un piccolo gruppo di privilegiati, ma l’immenso popolo di Dio di ogni lingua popolo e nazione, come la descrive il libro dell’Apocalisse (cfr Ap 5,9). Il cristianesimo è l’incontro tra Dio e l’uomo; incontro, prima di tutto, avvenuto nella persona di Gesù, che noi confessiamo vero Dio e vero uomo. Ogni autentica sapienza ed esperienza non può prescindere da questo incontro. La Chiesa deve essere il luogo di questo incontro!

Allora, figlio mio, quanta sapienza, quanta pazienza, quanta capacità di discernimento ti viene chiesta, perché ognuno si senta compreso, invitato e accolto! E questa accoglienza e annuncio evangelico al tempo stesso, raggiunge il suo vertice nella celebrazione eucaristica, dove ancora una volta la carne dell’uomo e la carne di Dio – per usare un’espressione di Tertulliano – si incontrano.

E poi nella celebrazione sacramentale della riconciliazione, dove il sangue versato per la remissione dei peccati, diventa concreto evento di salvezza per colui che chiede perdono!

La vita ci insegna che questa riconciliazione non coincide semplicemente col confessionale, ma si realizza in un incontro voluto, ricercato, offerto, costruito con pazienza, attento alla vita reale del fratello, ai suoi bisogni, alle sue fragilità, per poter dire con intima gioia le stupende parole: Vai in pace, ti sono rimessi i tuoi peccati!

Permettetemi un richiamo alla tradizione francescana, che ha fatto del sacramento della riconciliazione quasi una caratteristica del ministero presbiterale. “Andare a confessarsi dai frati – si diceva – perchè hanno la manica larga”. E di un mio confratello dicevano che non aveva nemmeno più le maniche! E non è una specie di superficialità, ma l’accoglienza grande per cui uno si sente a suo agio nel poter dire “Io sono questo” e poter ascoltare “Vai in pace!”. Non lo dimenticare mai, Lorenzo!

Il nostro servizio e amore alla comunità cristiana sarà autentico se noi la educhiamo a ben distinguere fra il servo (noi) e il Signore; fra il discepolo e il Maestro; tra colui che è mandato e Colui che lo invia.

***

Coraggio, Lorenzo: si apre davanti a te una strada impegnativa, ma Colui che ti invia, il Signore e Maestro, ha pregato anche per te quell’ultima sera. Ti voglio ricordare quelle parole:

“Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola, perchè tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,20)

La domenica della Trinità ci mette davanti la realizzazione di queste parole nella vita divina e nella possibilità nostra di accedervi.

Ti auguro che tutta la tua vita possa ripetere, nell’apostolato quotidiano spesso silenzioso e nascosto, le parole di Paolo a Timoteo: “So in chi ho posto la mia fiducia e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato” (2Tm 1,12), ciò che ti viene affidato, Lorenzo.

Allora, fratelli, ringraziamo Dio per quello che ora compiamo e lo facciamo con le parole del padre san Francesco:

Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Iddio,

ogni bene, sommo bene, tutto il bene, che solo sei buono,

fa’ che noi ti rendiamo ogni lode, ogni gloria,

ogni grazia, ogni onore, ogni benedizione e tutti i beni.

Fiat! Fiat! Amen.

+Giovanni

Video della diretta streaming della Messa di ordinazione
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