Cari fratelli e care sorelle,
oggi la Parola di Dio è abbondante e in qualche modo ci è chiesto di ascoltarla, ma anche seguirla.
Fuori abbiamo sentito proclamare il racconto dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, poi siamo entrati in Cattedrale camminando, come dietro a Gesù. Quindi tutta l’assemblea è stata coinvolta in maniera diversa, quasi drammatica, nella lettura della Passione e abbiamo sentito come inizia questo racconto:
“Ho desiderato tanto di mangiare questa Pasqua con voi” (Lc 22, 14)
Al centro di questa storia, della nostra storia, al centro di questa settimana c’è il desiderio di Gesù di condividere il suo “passaggio”, il dono della sua vita, con noi.
E al termine del racconto abbiamo sentito come tutta la folla che era salita sul Calvario per assistere alla sua condanna a morte “se ne tornava percuotendosi il petto” (Lc 23, 48), come accorgendosi che il loro cuore doveva in qualche modo rispondere al cuore di Gesù, che tanto aveva voluto condividere la sua vita con loro, al punto di farsela portare via.
Ecco l’annuncio di questi giorni santi: la passione di Dio per gli uomini, per ognuno di noi; la nostra passione, i nostri dolori, le nostre difficoltà e anche i nostri peccati, che si devono come far prendere da questa passione. Il nostro petto deve sussultare per farci entrare dentro il Suo amore, così che impariamo in qualche modo ad amare come egli ci ha amati.
Proprio in quell’ultima Pasqua Gesù più volte disse ai suoi: “Amatevi come io vi ho amati… Vi ho dato l’esempio” (cfr. Gv 15,12 e Gv 13,15)
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Nella Settimana Santa noi viviamo il centro della nostra fede, della nostra vita, della storia: tanto Dio ha amato il mondo, da dare il Suo figlio; tanto Gesù ha voluto corrispondere a questo dono, da amarci “sino alla fine” (Gv 13,1), da essere coerente con questo amore, perché anche noi reimparassimo di più ad amare, ad essere come Lui.
Nel racconto della Passione secondo Luca, che abbiamo ascoltato, vengono a galla i sentimenti dell’umanità, la nostra faccia, il nostro modo di essere: la persecuzione, la calunnia, l’incapacità di difendere il bene, la rabbia e l’odio che portano perfino ad uccidere un uomo giusto, il potere del governatore romano, che poteva tutto eppure di fronte al “chiasso” della folla non ha il coraggio di difendere un giusto, benché lo riconosca tale. E poi la folla, che si fa manovrare…
Dietro queste immagini del racconto di Gesù c’è come una foto – lo ripeto – di quello che è il male nel mondo e il dolore, la paura e l’incapacità di stare vicini a Gesù.
E dentro tutte queste situazioni l’umanità di Gesù: una umanità simile alla nostra, che vuole amare, ma che ha anche paura quando le è chiesto tanto; vuole i suoi vicini (“pregate” cfr Mt 26,41), vorrebbe che il Padre, se possibile, allontanasse da Lui quel calice…
Nella passione noi vediamo davvero come il Figlio di Dio è diventato uno di noi, ha preso la nostra umanità, con i suoi desideri, ma anche con le sue fatiche e paure. Ma vediamo anche la Sua bontà: verso le donne che piangono su di Lui, verso Pietro che lo sta tradendo… Quando il gallo cantò, Gesù si volse verso l’apostolo con uno sguardo di affetto e di amicizia, come sempre, perché Pietro, anche in quel momento in cui prendeva coscienza di che rinnegatore era stato, avesse ancora davanti a sé lo sguardo del suo Maestro, che lo guardava non per giudicarlo, ma per dirgli la sua povertà, quello che era, nonostante i suoi proclami, nonostante il suo sguardo.
E poi con quel malfattore: “Oggi sarai con me in paradiso”. (Lc 23,43)
Ecco, il volto umano, ma anche il volto buono, misericordioso di Gesù.
Siamo nell’Anno della misericordia: il Giubileo ci aiuti a vivere questi giorni in cui meditiamo la passione, morte e resurrezione di Gesù e a scorgere in Lui il volto della misericordia di Dio, il modo in cui Dio ci guarda!
Forse siamo tutti un po’ troppo nella situazione di Pietro: vorremmo… diciamo… proponiamo… ma poi ci troviamo di fronte alle nostre debolezze, ai nostri difetti… Eppure ancora una volta lo sguardo di Gesù su di noi!
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San Paolo nella II lettura, invitandoci ad avere in noi gli stessi sentimenti del Signore, ci rivela molto di più della sola umanità di Cristo:
“Pur essendo Dio” (Fil 2,6), mise da parte i suoi diritti, si svuotò della sua condizione e si mise al di sotto di tutti noi, perché non ci fosse nulla di umano, anche la cosa più terribile e cattiva, sotto la quale Lui non si fosse posto per rialzarci e riportarci di nuovo a quella dignità di figli, che il Padre ci ha dato e che Lui ci ha rimesso dinanzi come possibilità, come dignità, come vocazione.
La Sua morte è segno del desiderio di Dio di farci capire tutto questo; la sua resurrezione è segno che quel modo di vivere di Gesù fa rinascere davvero, semina realmente il bene!
La sua resurrezione è segno che quel modo di vivere di Gesù, uomo come noi, ma tutto dedito, generoso, donato, può servire anche oggi di fronte al male, all’odio, alle guerre, alle difficoltà: quelle grandi come quelle piccole di cui ognuno di noi è vittima e protagonista.
Anche Gesù fu vittima e protagonista di questo mondo, ma ci stette con la sua misericordia, con la sua umanità, con la sua divinità, della quale si spogliò, proprio per farci capire che Dio si mette dentro le nostre realtà, anche misere, sopporta, se ne mette al di sotto per aiutarci a portarle.
La bella liturgia di stamani, le grandi liturgie del triduo pasquale sono donate a noi per ricordarci che la Chiesa vive di questo e che in questi giorni ci mette più profondamente le proprie radici.
Fin d’ora, dunque, vorrei invitarvi a vivere bene le celebrazioni della Settimana Santa, come realtà di fede che hanno bisogno di entrare di più nella nostra vita, perché noi ne abbiamo bisogno!
In questi giorni vi invito ad avvicinarvi al sacramento della Riconciliazione. E’ il modo semplice, umile di Dio di farsi vicino a me e a ognuno di voi come ci dice san Paolo: per caricarsi di tutti i nostri pesi.
Invito me e voi ad avere un po’ di più questi sentimenti di umanità, di umiltà, di generosità, di dono di noi, senza tristezza, senza quella pesantezza che talvolta ci prende quando dalla vita ci sentiamo chiamati ad assumere impegni, che spesso sopportiamo e basta.
No, dentro questo modo di vivere c’è un seme di vita che poi diventa quello che noi doniamo agli altri: ai nostri cari, alla Chiesa, a questo mondo, che è così com’è, ma nel quale siamo chiamati ad essere testimoni di come crediamo e di come viviamo della vita di Gesù.
Sia lodato Gesù Cristo!
+Rodolfo