Troverà posto nella sala conferenze del monastero di Siloe, l’elegante Crocifisso in cartapesta policroma, databile intorno all’800, recentemente restaurato attraverso l’intervento dell’ufficio beni culturali ecclesiastici della diocesi di Grosseto. Nei giorni scorsi l’opera, ricevuta in dono dalla comunità monastica nel 2013, è stata loro materialmente riconsegnata dall’ufficio beni culturali, al termine dell’importante e complesso intervento di recupero, soprattutto per la delicatezza del materiale cartaceo.
“La cartapesta – spiega Olivia Bruschettini, dell’ufficio beni culturali ecclesiastici della diocesi – è un prodotto destinato a trasformarsi con l’utilizzo, sia per gli urti involontari, sia a causa di agenti atmosferici, di umidità, attacco di parassiti, di insetti e roditori, che provocano danni spesso irrecuperabili”.
Non è stato questo il caso, perché il Crocifisso, grazie al minuzioso intervento di restauro, è tornato a splendere, facendo riaffiorare tutta la bellezza e l’intensità dolente del Cristo morente. Si tratta di una testimonianza di arte sacra sempre più rara: la cartapesta, infatti, è un materiale ormai inconsueto per realizzare statue od oggetti sacri, mentre in passato questa umile tecnica aveva una diffusione ampia, soprattutto per la sua economicità e leggerezza.
Il restauro ha permesso di restituire al Crocifisso non solo la sua bellezza, ma anche la raffinatezza dell’opera. “L’opera – continua Bruschettini – presenta una coloritura tenue ed un modellato di buona qualità, con tratti somatici realistici. Colpisce, in particolare, l’eleganza del corpo, col busto esile e l’addome che appare come bloccato nel movimento, per narrare visivamente l’emissione dello spirito da parte del Cristo. Le braccia rivelano le fasce muscolari tese, a motivo della trazione del corpo appeso sulla croce, e il reticolo delle vene. A dare ancor più realismo al Crocifisso è il capo coperto da lunghi capelli mossi a piccole ciocche disegnate una ad una e la corona di spine poggiata sul suo capo, che provoca il fluire di gocce di sangue che rigano il volto. A ricordare la flagellazione i segni sul corpo lasciati dal martirio, le ecchimosi, le ampie ferite da cui sgorga sangue, la forte espressione di dolore che traspare dal volto, la policromia raffinata e vibrante fanno pensare al lavoro di un artista a conoscenza dei più aggiornati dettami culturali e cultuali. La delicata policromia originale – conclude Bruschettini – applicata per velature successive, ha permesso una resa realistica del corpo martirizzato di Cristo, evidenziando le lacerazioni della carne, l’accentuazione bluastra delle contusioni e lo scorrere del sangue. Si tratta, dunque, di un artista capace di destreggiarsi perfettamente con i materiali impiegati e le tecniche connesse. Per le statue in cartapesta erano impiegate, infatti, le medesime forme utilizzate per le sculture in bronzo”.